Giorni d’estate: il debutto bellico-sentimentale di Jessica Swale sul grande schermo

Alice Lamb (Gemma Arterton), una giovane intellettuale inglese, vive in solitudine tra le scogliere del Kent. Soltanto gli echi degli aerei la distolgono di tanto in tanto dalle ricerche sul mito e i saperi magici, ricordandole il disastro della Seconda Guerra Mondiale che imperversa su Londra. Ed è da qui che provengono dei bambini sfollati in cerca di un riparo. La stessa Alice sarà costretta ad accoglierne uno in casa, Frank (Lucas Bond). Cinica, diffidente e dura, a causa di un grande amore finito male, Alice viene via via conquistata dalla curiosità del ragazzo. Giorni d’estate (Summerland), l’esordio cinematografico della regista e scrittrice britannica Jessica Swale, prende le mosse da intenzioni efficaci. C’è il ritratto fascinoso di una giovane studiosa che rifiuta la maternità, la famiglia, la compagnia degli altri, e si immerge anima e corpo nel suo lavoro. Gli abitanti del villaggio oscillano tra il timore e lo sdegno nei suoi confronti, i bambini l’additano come una strega e lei non fa nulla per convincerli del contrario. Alice scansa ogni compromesso e rivendica tenacemente il suo non volersi sintonizzare con gli altri né piegarsi alle esigenze e alle aspettative della società. Il femminismo gramscianamente ‘organico’ del personaggio si riflette anche negli studi di Alice sul folclore, sulla magia e, in particolare, sulle cosiddette ‘isole volanti’ al centro di narrazioni mitiche in varie culture ed epoche diverse. Fata Morgana, ad esempio, la maga che evoca miraggi di isole sospese per attirare e far poi naufragare i marinai tra gli scogli, è una sorta di alter-ego mitologico di Alice, una donna autonoma che rifiuta posizioni ordinarie e sottomesse della femminilità.

 

 

Altro pregio del film è l’interpretazione intensa ma misurata di Arterton, capace di incarnare tutte le contraddizioni di Alice, dalla nostalgia per il padre al disprezzo dei bambini, dalla malinconia della relazione sfiorita al disdegno della partecipazione politica, dalla passione per la scienza alla frenesia della scrittura. Non le è da meno Penelope Wilton, che impersona Alice da anziana in poche sequenze ma di grande partecipazione emotiva. L’originalità del film si sfilaccia via via tra i sentieri troppo spesso battuti di un impasto bellico-sentimentale, di cui molto risulta prevedibile. L’incontro con Frank è un’occasione di redenzione per Alice, che mette da parte indipendenza e misantropia per ritrovare una posizione più morbida nel mondo. Il ragazzino, dal canto suo, vive il suo coming-of-age: lontano dall’ambiente familiare londinese, viene stimolato dalle ricerche brillanti di Alice, impara a badare a sé stesso e a indagare anche gli aspetti più brutali dell’esistenza, al di là delle narrazioni infantili che mal si addicono alla sua intelligenza.

 

 

Non mancano i momenti di rottura per incomprensioni e non detti né i conflitti che sfiorano la tragedia, nella ricostruzione di una Londra martoriata dalle bombe, con immancabile lieto fine. Il tutto è amplificato dalle musiche ridondanti di Volker Bertelmann, che intervengono in modo un po’ didascalico a enfatizzare gli snodi più drammatici della storia. A parte un bel colpo di scena, quello sì inaspettato, il resto è godibile ma non particolarmente originale e non si allontana dai binari della parabola redentiva del personaggio duro, deluso dalla storia e dalla vita, che ritrova la gioia di vivere e l’amore per gli altri in seguito a un’epifania. Giorni d’estate è confezionato con classe, con una bella fotografia (firmata da Laurie Rose) che cattura alcuni degli scorci più belli dell’Inghilterra meridionale senza compiacimento estetico. Dello stesso livello la cura per i dettagli nella ricostruzione dei costumi dell’epoca, delle capigliature, delle auto, soprattutto nelle scene della dolce vita di Alice tra balli e i concerti prima dello scoppio della guerra.