Il citazionismo subliminale in C’è ancora domani, di Paola Cortellesi

Si assiste con un certo piacere alle mutazioni del cinema italiano. Alcune idee, nonostante tutto ciò che accade in un tempo di restaurazione come il nostro, si fanno vive, colorando di sé anche il mondo del nostro cinema e fa ancora più piacere che questo rimescolamento offerto da una ventata di nuovo arrivi da registe donne che portano con sé un proprio sguardo sulle cose del mondo. A conferma di questa originale congiunzione che speriamo diventi strutturale nel corpo variegato del nostro cinema, ci sono due film che nascono da due donne esordienti e che hanno saputo trovare, pur da punti osservazione differenti, sguardi originali sui temi e sulla ampia “condizione femminile”. Il primo di questi è la sorpresa di Venezia80, Felicità di Micaela Ramazzotti. Se ne è detto su queste stesse pagine e a quelle si rimanda (per chi ne avesse voglia), l’altro è il film di Paola Cortellesi C’è ancora domani, vera rivelazione della Festa del Cinema di Roma numero 18. Nell’immediato dopoguerra, nei giorni del referendum che avrebbe decretato la nuova forma di assetto di governo dell’Italia, Delia (Paola Cortellesi) e suo marito Ivano (Valerio Mastandrea) vivono in un basso con le finestrelle a livello del cortile del grande caseggiato che fa da scenario al film. I loro tre figli, due ancora piccoli in eterno dissidio e Marcella già donna fatta e anche fidanzata, vivono con loro.

 

 
Ivano è il maschio supremo di casa, dispone e decide per tutti, vuole i suoi spazi per coltivare le sue passioni, le donne e le carte, e non ha rispetto né della moglie, né dei figli. Delia vive la sua vita, si arrangia affannosamente con mille lavoretti e ogni tanto si concede una pausa con l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), che vende verdura al mercato. In più Delia cura il suocero Ottorino (Giorgio Colangeli), maneggione e misogino, e coltiva l’amicizia occasionale di Nino (Vinicio Marchioni) che fa il meccanico spiantato ma è da sempre innamorato di Delia. Intanto si avvicina il giorno del referendum e in quelle stesse ore Nino decide di partire in cerca di fortuna al nord. Da quando Delia in quegli stessi momenti esce di casa comprendiamo che la sua vita sta per cambiare. C’è ancora domani, girato in un bianco e nero tirato a lucido, è in primo luogo un esplicito omaggio, a tratti diretto e per lunghi momenti del tutto indiretti in un fuori campo lungo quasi quanto tutto film, al nostro cinema del passato, al neorealismo asciutto, ma anche alla vena ironicamente sapiente che quel cinema sapeva esprimere, a partire dalla padellata in testa di don Pietro nel capostipite Roma città aperta. Poi per altri tratti il film, metabolizzandone i contenuti vive di atmosfere già vissute e di personaggi che con gloria hanno attraversato i tragitti del nostro cinema: da Una giornata particolare nell’incipit al mattino per quell’aria familiare e sorprendentemente tranquilla che si respira in casa di Delia e Ivano, come già in quella di Antonietta e Emanuele nel film di Scola, al Fellini de I vitelloni nello sguardo aereo di Delia sui suoi figli che dormono pochi minuti prima di uscire da casa per cambiare la propria vita che assomiglia a quello Moraldo che pensa ai suoi nel letto mentre lascia il suo paese.

 

 
Da qui, da questa intenzione di diventare derivazione diretta e rispettosa del nostro cinema il suo carattere volutamente citazionista. Ciò sia detto con notazione positiva soprattutto in ragione del fatto che il film riesce a diventare sicuramente un piacevole divertimento, ma anche una sorta di frutto maturo di tutto quel cinema senza essere né imitativo, né diventare copia carbone di quelle immagini. In altre parole il lavoro di scrittura di Furio Andreotti, Giulia Calenda, Paola Cortellesi è molto attento nel definire i contorni e i caratteri propri del film, restando sempre e al tempo stesso lontani e vicini a quei film italiani che hanno fatto la storia del cinema. è per questo equilibrio che il film sa raggiungere, mantenendo sempre una propria fisionomia, che si fa apprezzare perché sa raggiungere l’attenzione dello spettatore nel quale bene o male, molto o poco quelle vecchie immagini dei nostri film del passato, sono sedimentate. Un lavoro di riesumazione quasi subliminale che stando alle cronache e ai commenti del pubblico che si leggono sui social, funziona egregiamente con ottimi risultati. Con C’è anche domani dunque il cinema italiano sembra avere trovato la chiave di volta per una diffusa disponibilità a tornare ad amare i film italiani, non perché gli altri siano da scartare sotto questo profilo, ma perché il film di Cortellesi ha saputo unire le qualità del suo film alla popolarità del suo tema, alla centralità che, anche nella cronaca, il tema della emancipazione femminile e più avanti di una legittima parità, occupa con notizie poco confortanti sul piano del rispetto umano e dei diritti.

 

 
È di questo che si occupa il film, di quella necessità urgente di parificazione, si occupa di rispetto e di diritto all’amore. Anni fa con Riccardo Milani, la stessa Paola Cortellesi era protagonista di un film che si intitolava Scusate se esisto. Il tema di quel film era lo stesso di questo, ma l’avere spostato l’azione in quel dopoguerra così carico di speranze per un’Italia da ricostruire sulle macerie riporta ancora una volta l’argomento al centro delle nuove regole democratiche di quella Costituzione che diventano fondamenta ineludibili della nostra collettività. Il lavoro anche televisivo della regista, sempre attento e orientato verso queste direzioni, ha preparato il terreno a questo film nel quale peraltro si colgono alcuni spunti piacevoli e per nulla trascurabili in tema di messa in scena. I balletti ironici che mimano la violenza truccata da amore, il coro greco delle donne nel cortile eternamente impegnato in qualcosa ma con l’occhio gettato all’intorno per vedere cosa succede e avere argomenti di critica, e quindi il cortile come scenario, le tipologie di Ivano e Nino due maschere maschili rigidamente ridotte in quei ruoli, e poi l’amicizia femminile tra Delia e Marisa come fuga dal quotidiano. Ci si è sorpresi per la qualità dell’opera, la domanda sorge spontanea: per quale ragione? La stessa sorpresa ci sarebbe stata se fosse stato un attore alla sua prima prova come regista? È come è accaduto per un pezzo su un famoso e diffuso quotidiano nel quale ci si sperticava per la scoperta della qualità di una classe di studenti di una scuola del profondo sud. Ci si domanda se si fosse manifestata la stessa sorpresa per una scuola di altre latitudini. Come si vede la teoria del “buon selvaggio” viaggia ancora nei nostri inconsci e C’è ancora domani ci suggerisce di avere speranza perché prima o poi passerà di moda pure questa.