La frantumazione del reboot: Spider-Man: No Way Home di Jon Watts

 

 

«Mi perdoni, padre, perché ho peccato, ultimamente mi sono preoccupato per questioni di morale. 

Ciò che è corretto e ciò che non lo è, il bene e il male. Non chiedo perdono per quello che ho fatto, padre.

Chiedo perdono per quello che sto per fare». (Matt Murdock)

 

Scegliere. Questo è il punto, non ci sono dubbi. Scegliere cosa vedere, cosa buttare o trattenere. Di questo si tratta: trovare uno sguardo per andare oltre, un modo per tornare a casa. Spider-Man ha scelto chi essere. Ora non si torna indietro. Ora appartiene, liberato da una paura che si configurava come la più opprimente delle costrizioni. È a casa. Nella delicata e vacillante fase di passaggio che sta attraversando, che in più di un’occasione ha portato anche i fan a domandarsi dove si stesse andando a parare, Spider-Man: No Way Home di Jon Watts rappresenta per il MCU un punto di non ritorno. Non una semplice tappa di passaggio ma una opzione irreversibile studiata per rilanciare in modo definitivo l’intero progetto colossale multiespanso di cui la storia dell’uomo ragno costituisce un evidente microuniverso. O, per restare in tema, una scelta che ha le sembianze di un portale aperto sul futuro. Non a caso Dottor Strange ribadisce chiaramente il concetto con un monito: «Attento a ciò che desideri, Peter». E cosa sono i desideri se non cuore e sguardo, occhi su ciò e su chi amiamo? 

 

 

In tal modo, quello che sarebbe dovuto essere il terzo capitolo di un franchise riavviato per la terza volta al cinema assume le sembianze di un oggetto totalmente spiazzante che accoglie e rimastica quanto precedentemente visto, amato e consumato. Con questo film il MCU chiarisce apertamente al suo pubblico una cosa: i film su Spider-Man non erano soltanto dei reboot ma tutti parte di un unico corpo, di un’unica casa, home. Tutto nasce lì e tutto torna lì, appartenere. Da questa esplicita intenzione autoriflessiva (industriale) e metadiscorsiva, pensata tanto per generare l’hype e sondare il terreno del mercato quanto per dare una parvenza di compiutezza narrativa in vista dei prossimi sviluppi, il terzo capitolo della trilogia con Tom Holland e Zendaya sembra procedere strategicamente per audaci tentativi capitalizzando al massimo la spettacolarizzazione di massa (numeri da record al botteghino, film evento del 2021, bentornata visione partecipata con clima da stadio e annesso valzerino delle polemiche: questo è cinema? No! Sì!) e concedendo allo spettatore un’esperienza molto appagante e divertente seppur accomodante e di certo non priva di limiti e difetti. Non a caso, dopo alcuni minuti dall’inizio del film, a supporto di questo procedere complesso e sovraincastrato (atteso, questo sì) e a stabilire coerentemente una prima estensione dell’intero progetto mastodontico marchiato Sony-Disney è proprio un’immagine che arriva da un altrove seriale, la presenza di un personaggio sorprendentemente fuori contesto ma che indirizza gli eventi: Matt Murdock-Daredevil (interpretato dall’attore Charlie Cox) prende le difese (per il momento soltanto legali come avvocato, poi chissà…) di Peter Parker nel momento in cui l’intero mondo mette in discussione le buone intenzioni dell’uomo-ragno in seguito alle accuse infamanti di Mysterio. Ci eravamo lasciati così, con una vendetta sulle spalle e lo spettro della menzogna che seduceva l’opinione pubblica facendo vacillare l’identità del giovane Spider-Man, contemporaneamente alle prese con la gestione di un nemico ben più famelico e pericoloso come l’adolescenza. Ci ritroviamo con l’improvvisa comparsa di Murdock (della sua provocatoria spiritualità e del suo sguardo di supereroe immerso nel male della strada, ferito come orfano, dominato da un impulso irrefrenabile di giustizia e indignazione) che anticipa il nucleo narrativo su cui si regge la seconda parte del film: la possibilità concreta, se non addirittura pragmatica (sempre di un adolescente stiamo parlando), di correggere con un siero i cattivi mediante una sorta di giustizia riparativa. Pare evidente l’analogia allegorica con l’attualità pandemica ma non si tratta solo di questo. La sceneggiatura di Chris McKenna e Erik Sommers, sotto l’ala produttiva di Kevin Feige e Amy Pascal, nonostante non brilli di equilibrio e linearità quando manifesta una spiccata tensione a mescolare registri (comico e drammatico) e generi (azione, avventura, fantascienza, fantasy, teen-movie), conduce senza troppo incedere alla manifestazione miracolosa che tutti aspettano.

 

 

L’incontro tra i tre Spider-Man (Holland-Maguire-Garfield) non si riduce a pura spettacolarizzazione grazie alla medesima strategia con cui i cattivi vengono salvati: gli eventi consegnano a ciascun Spider-Man la possibilità di un nuovo inizio, di scrivere una nuova pagina della propria storia: Garfield salverà MJ rivivendo similmente quanto vissuto tragicamente con Gwen; per salvare Holland, Maguire verrà infilzato da Goblin specularmente a quanto accaduto al suo acerrimo nemico nel primo capitolo della prima trilogia; Holland non soccomberà all’odio per la morte di zia May e comprenderà la sua identità di eroe che non uccide ma vuole giustizia. Alternando ironia e colpi di scena, giostrandosi abilmente in un’ardua impresa produttiva a colpi di fan service, Spider-Man: No Way Home diventa interessante quando abbandona i panni del teen-movie per ragionare su questa nuova forma di eroismo inteso come spazio decisionale autonomo e non condizionato. Un eroismo che per Peter Parker rappresenta tutta la fatica di crescere, cambiare, affermare la propria identità, rischiare la vita o, più semplicemente ma non meno drammaticamente, di rinunciare alle luci della ribalta e quindi di essere visti, accolti, applauditi. Amati. Spider-Man prende coscienza che crescere significa sempre perdere qualcosa di sé. E ora, come proseguirà il racconto nello Spider-Man Cinematic Universe? Visti gli esiti è facilmente preventivabile un nuovo capitolo ma cosa vedremo in Morbius? Inoltre, Venom e Eddie Brock incontreranno il Peter Parker hollandiano? Presto per sapere, nel frattempo l’MCU accoglierà Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Chi è il regista? Sam Raimi. Home.