La morte per la vita: Godzilla Minus One, di Takashi Yamazaki

L’annuncio di un nuovo film di Godzilla da parte della casa madre Toho è avvenuto un po’ a sorpresa il 3 novembre 2022, a riprese già terminate, e ha contributo a mettere ordine fra le possibilità che si erano susseguite negli ultimi anni circa gli ulteriori progetti giapponesi sul celebre sauro atomico. La prima ipotesi – accantonata abbastanza in fretta – prevedeva infatti un seguito dell’acclamato Shin Godzilla di Hideaki Anno e Shinji Higuchi del 2016, certamente fra i titoli più radicali e di forza autoriale del filone, che continua comunque a vivere in articolate campagne di merchandising, come lo Shin Japan Heroes Universe o Godzilla vs Evangelion (di quest’ultima si possono ammirare alcuni esempi nell’artbook “Evangelion Illustrations 2007-2017”, uscito anche in Italia per i tipi di Panini). Breve vita ha avuto anche l’altra idea, ventilata nel 2019 dal produttore Keiji Ota, di riprendere il concetto dell’ “universo condiviso” sulla falsariga di quello Marvel, in un curioso paradosso che non tiene conto di come proprio la saga di Godzilla sia stata una delle prime nella storia del cinema a dare forma a questa pratica. Nell’indecisione fra sperimentalismo e conservazione, insomma, Godzilla: Minus One si pone nel mezzo, sin dalla scelta del regista: fra i nomi più acclamati dell’ultimo ventennio, Takashi Yamazaki è infatti un autore completo, che scrive e dirige i suoi lavori, in cui mette a frutto anche una forte specializzazione nel campo degli effetti speciali digitali (di cui supervisiona ogni aspetto).

 

 

Al contempo, è un perfetto nome “da industria”, specializzato nel riprendere concept che hanno già una lunga storia alle spalle, come dimostrano operazioni come il live action di Space Battleship Yamato o i film animati in CGI, dedicati a Doraemon o Lupin III The First, con un occhio anche alla promozione (di Minus One ha disegnato pure il manifesto e supervisionato le action figure dedicate). Su tutto, Yamazaki è incidentalmente anche un regista che vanta una lunga collaborazione sia con la Toho, che ha distribuito o prodotto quasi tutti i suoi lavori precedenti, che con lo stesso Godzilla. In particolare, si ricorda il cameo del mostro nel prologo di Always: Sunset on Third Street 2 del 2007 (che ha segnato anche la sua prima apparizione nipponica in full CGI e senza il minimo ausilio della storica tecnica suitmation) e il filmato per la più recente attrazione Godzilla: The Ride, in cui già si sono poste le basi per il design della creatura, così come viene presentata nel nuovo film. Godzilla: Minus One è perciò un titolo che guarda al passato, con un’ambientazione nell’immediato dopoguerra dove viene ripercorso il processo che da un dinosauro sopravvissuto all’estinzione porta alla creazione di Godzilla in seguito agli esperimenti atomici nell’atollo di Bikini. Ma è anche un’opera sincera, che riesce a parlare alla nostra contemporaneità, sollevando questioni non banali su tematiche molto attuali. La storia è infatti vista dagli occhi di Koichi Shikishima, pilota kamikaze che ha abbandonato il campo di battaglia e sopporta perciò l’onta di non aver adempiuto al suo dovere, interpretando il suo comportamento come di assoluta codardia.

 

 

Nel mentre, il nostro ha accolto sotto il suo tetto Akiko, una bambina orfana, e la giovane Noriko, sopravvissuta ai bombardamenti bellici. Una proto-famiglia, anch’essa una comunità “nel mezzo”, non segnata da legami di sangue pregressi, ma solo da logiche di mutuo soccorso e che perciò lascia aperti spazi di non detto che sanciscono lo stato di indecisione in cui galleggia il protagonista. Refrattario a riconoscere l’autenticità di quell’unione che nel corso dei due anni successivi si fa sempre più solida, Shikishima è infatti più spesso incline a sottolineare la sua estraneità al novello nucleo formatosi attorno a lui, nonostante la bambina già lo identifichi come il proprio padre. La comparsa di Godzilla arriva così a incarnare quel rimosso con cui inevitabilmente Shikishima deve fare i conti, riportando la distruzione in un Giappone già ridotto al grado zero di sé stesso (da cui il “meno uno” del titolo): inarrestabile e servito da una potenza devastante che sbriciola palazzi e recide i legami fra la gente, il mostro si fa metafora di una foga belligerante e di una paura recondita che arriva a scuotere una realtà costretta fra numerose situazioni anch’esse “di mezzo”. Lo stallo di Shikishima è infatti condiviso anche da un mondo già diviso dalla Guerra Fredda tra i blocchi e da un Giappone che, pur nell’emergenza contingente, applica la governance del nascondere la verità sul mostro per evitare possibili escalation militari (un’indecisione politica che capitalizza la lezione del già citato Shin Godzilla, nonché del capostipite originale realizzato da Ishiro Honda nel 1954 – in filigrana emerge con evidenza anche qualcosa da Lo squalo di Steven Spielberg).

 

 

Il travaglio interiore del protagonista sul suo sacrificio mancato e sulle azioni da intraprendere per fermare la nuova minaccia, si fa così interrogazione audace sull’ethos in un tempo e un mondo che sono quelli dell’immediato dopoguerra, ma che si riflettono inevitabilmente anche sul nostro presente in guerra e su un Giappone che da alcuni anni auspica con i suoi governi più conservatori il ritorno alla militarizzazione. In questo, Yamazaki è affine all’afflato poetico e ai tormenti etici e psicologici dell’ultimo Shinya Tsukamoto, quello della trilogia formata da Fires on the Plain, Killing e Hokage, che pure cerca nel passato le chiavi di interpretazione del presente, per lanciare un monito alle generazioni future circa i disastri storici e la brutalità bellica. Il senso del dovere e l’etica del sacrificio, insomma, vengono affrontati in chiave critica per un auspicio di pace e un messaggio che sia portatore di vita mentre sembra raccontare soltanto la morte. Nel mettere in scena questo tumultuoso volgere degli eventi, Yamazaki recupera una cifra estetica fatta di toni più caldi, tipici del cinema giapponese d’annata, giocando poi sul contrappunto tra il fragore delle azioni di Godzilla e la felice interazione del cast, dimostrando quanto la saga resti un punto di riferimento imprescindibile quanto a capacità di coniugare afflato popolare e spessore cinematografico. Da un lato, dunque, abbiamo momenti disaster carichi di impeto drammatico ma che non rinunciano al tocco appassionato per il più puro spettacolo (si vedano le creste dorsali che si azionano come i percussori di una pistola prima di sparare il raggio); dall’altro versante, risalta la forza del gruppo formato da un brillante Hidetaka Yoshioka (attore feticcio del regista), nel ruolo dello scienziato autorevole da perfetto sci-fi anni Cinquanta, da una Sakura Ando di solido mestiere (l’abbiamo vista nei film di Hirokazu Kore-eda), che riesce a tratteggiare con pochi e efficaci tratti la vicina Sumiko, e ovviamente da un Ryunosuke Kamiki perfettamente aderente al ruolo del protagonista – l’attore è un ex enfant prodige del cinema giapponese, fra l’altro già piccolo eroe di The Great Yokai War di Takashi Miike, tanto per rimanere nell’ambito del fantastico.