La rabbia giovane di Fiore

5618967È scritto sul volto di Dafne Scoccia Fiore. Ed è, Fiore, il film che, nella continuità di una filmografia attenta all’esplorazione delle relazioni sociali in corso nella stratificazione multiculturale dell’Italia odierna, segna la definizione di uno sguardo, quello di Claudio Giovannesi, la sua sempre più evidente naturalezza nel mettere in scena conflitti, dinamiche familiari, tensioni e attrazioni sentimentali, e soprattutto i corpi adolescenti che vivono in prima persona e senza rete passaggi decisivi nelle loro giovani esistenze. In Fiore, la ribelle Dafne Bonori e il coetaneo Josh. Si incontrano, a distanza, in un carcere minorile, le regole impedendo un contatto fra maschi e femmine in qualsiasi ambiente dell’istituzione penitenziaria (anche nella palestra dove il parroco celebra la messa). Si guardano, osservano, si innamorano. Giovannesi decrive alcuni mesi della loro vita, tra un dicembre e un febbraio. Ma è a lei, a quella ragazza senza fissa dimora, che il regista di Fratelli d’Italia e Alì ha gli occhi azzurri dedica primi piani mozzafiato, una galleria di istantanee che colgono variazioni e ripetizioni di gesti (si pensi a quello, presente come una frase ricorrente, di Dafne che si tocca e aggiusta i capelli dietro le orecchie), mutazioni di stati d’animo, determinazione e dolcezza. Di un volto e di un corpo indomiti, dentro e fuori le pareti del carcere. Per strade, stazioni di metropolitana e di ferrovia, scale e terrazze, fra appostamenti (per derubare persone) e fughe (da amici di un ragazzo rapinato o da poliziotti). La incontriamo, Dafne, insieme a un’amica, seguita in piano sequenza, mentre individua la preda cui sottrarre un cellulare, la pedina e aggredisce per poi scappare. Quella del piano sequenza è una dichiarazione d’intimità fra regista e attrice, la necessità di non distogliere lo sguardo, di non staccare, di mantenere il legame di una relazione filmica. Che, dall’altra parte, in controcampo, davanti alla macchina da presa, è restituita da un’attrice non professionista che dà al suo personaggio una verità autentica, la rabbia giovane di chi sa che potrà contare solo su se stessa.

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Dafne Scoccia è una rivelazione, un volto che il cinema dovrà continuare a sedurre e dal quale farsi sedurre. Giovannesi le costruisce inquadrature e scene mélo; la rende un Antoine Doinel femminile mentre, come il protagonista de I 400 colpi, corre di profilo lungo la spiaggia dopo essere scappata dalla festa per la comunione del figlio della compagna del padre (che deve ricominciare a vivere dopo un lungo periodo di detenzione); la rende una Sophie Marceau nella scena della festa di capodanno, con la direzione del carcere che permette a ragazze e ragazzi di stare insieme, dove balla stretta a Josh sulla canzone Maledetta primavera cantata dal vivo da Greta (Manuzi) di Amici, ospite speciale della festa (e alla sua prima apparizione al cinema), in un richiamo a Il tempo delle mele; la rende corpo che sembra provenire da Vito e gli altri nella scena onirica nella quale si aggira per i corridoi del carcere guardando nelle celle Fiore3 300x158aperte chi dorme e raggiungendo Josh nel suo letto, accarezzandolo, così simile alla soggettiva per altri corridoi di un altro riformatorio dove nel sogno i bambini del film di Antonio Capuano si liberano da grate e porte chiuse a chiave. Il discorso sociale è filtrato dalla narrazione di una storia d’amore che dal realismo sconfina nell’immaginazione, trovando la sua temporanea realizzazione nell’incertezza di una (ulteriore) fuga, espressa nelle scene finali da passaggi sempre meno vincolati alla realtà e sempre più aderenti alla spinta a non cedere. Dopo il permesso accordatole per stare due giorni con il padre e la sua nuova famiglia, Dafne non rientra in carcere, dorme su una panchina (come all’inizio), prende un treno che la porta a Milano in cerca di Josh (nel frattempo uscito di prigione) e di un primo vero bacio con lui. Si ri-trovano e scappano ancora, verso il mare, su un altro treno, sempre senza biglietti, scoperti e rincorsi da altri poliziotti, e ancora in fuga, ancora su un treno che chissà dove li porterà. Si guardano e sorridono, Dafne e Josh, poi si voltano l’una verso l’altro, interrogandosi con gli occhi.