L’adolescenza disfunzionale in Jesús di Fernando Guzzoni

off_jesus_02Jesús ha 18 anni, condivide con gli amici la passione per hip-hop e k-pop, che pratica nei luoghi chiusi e aperti del Parco Forestal di Santiago. Anche, però, per eccessi incoscienti: droga, alcol… Una notte, sbronzi marci dopo una festa, lui e il resto del branco picchiano un coetaneo, omosessuale, riducendolo in fin di vita. Quando Jesús realizza di essere il responsabile invoca l’aiuto del padre. Intanto, però, il ragazzo muore. Jesús, presentato in concorso al Torino Film Festival, è il secondo lungometraggio di Fernando Guzzoni dopo Carne de perro (2012), ritratto di un ex funzionario della DINA, la polizia segreta di Pinochet, decaduto e disperato, interpretato dal grande Alejandro Goic (qui nel ruolo del babbo, ma anche in Il club e Neruda di Pablo Larraín).

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Jesús e i suoi amici guardano, tra un videogioco e una chiacchiera alcolica, i filmati dei narcos messicani o honduregni, ferocissimi; ma la violenza per loro non è un codice come per i criminali organizzati e prezzolati, bensì una casualità, un accadimento alla voce “varie ed eventuali” di una quotidianità vissuta d’impulso. Nessun moralismo: anzi Guzzoni partecipa alla via crucis di Jesús con sguardo antropologico. C’è qualcosa di animalesco nel modo in cui il ragazzo arraffa la vita soddisfacendo soprattutto bisogni epidermici, primari: sesso con una ragazza nel parco e con un amico della banda, fame anche chimica. In questa partecipazione non moralistica la regia eccede con qualche cliché autoriale, come la macchina da presa a spalla a pedinare il personaggio, un po’ scontata, ma è nel contraltare del ritratto del padre che il film ha il suo punto di forza. La vita di Jesús è solo conseguenza dell’incoscienza del singolo o è il fallimento di un modello educativo? Il padre è una brava persona, ha tirato su il figlio dopo la scomparsa prematura della madre, ma verso il ragazzo, quasi sempre solo, avrà solo rimproveri di prammatica? Colpa di chi, allora? Questo il rovello intimo che da un certo punto diventa centrale e pulsante, raccontato da Guzzoni senza parole e senza sottolineature, spostando lo sguardo da Jesús al babbo, che solo attraverso i propri comportamenti lascia trasparire il travaglio, mentre lo spettatore resta di sasso di fronte a un finale sorprendente, cinematograficamente di grande impatto, che non sveliamo. Jesús di Fernando Guzzoni conferma l’ottima salute del cinema cileno, forse oggi il più interessante del continente latinoamericano.