Gold

L’anestetizzata desertificazione sociale di Gold di Anthony Hayes

Più che il banale tentativo di coinvolgere lo spettatore attraverso un colpo di scena finale ampiamente prevedibile ma in linea con la piattezza della vicenda, più ancora della debolezza del McGuffin dell’oro, in Gold di Anthony Hayes sorprende la totale inconsistenza della parabola morale che avrebbe dovuto sostenere l’impianto del film e incanalarlo in una precisa riflessione sui limiti e le fragilità della contemporaneità. La messa in scena di un mondo cattivo e inospitale, allucinato e desertico in chiave survival movie, unita all’itinerario infernale del protagonista, rimasto solo ma ancora illuso dalla vita e in attesa di risposte, altro non sono che il riflesso di una profonda inautenticità che permea il racconto prendendosi gioco dello spettatore e delle regole del genere a cui fa riferimento. Vorrebbe essere un film che non si prende troppo sul serio ma l’effetto è opposto, tanto da sembrare presuntuoso e innocuo. A questo si aggiunge un ostentato esibizionismo di un’estetica sporca e ruvida dai colori seppia, compilativa e contemplativa di un universo cinematografico e simbolico ampiamente sottolineato e citato (da The Road a Mad Max per citare i più celebri) che indebolisce ogni possibile traccia di riflessione sulla crisi antropologica a cui, evidentemente, si mira e anestetizza qualsiasi forma di intrattenimento.

 

 

Hayes sembra guardare con nostalgia a quel The Rover, titolo di David Michod in cui interpretava la parte del sergente Rickofferson, evocando la componente simbolica del deserto australiano e delle sue creature. Come lì, anche in Gold, lo scenario è quello di un mondo collassato in cui l’uomo è vittima di una desertificazione sociale che ha condotto tutti sulla strada della violenza, disperati e senza remore. Virgil (Zac Efron) è il protagonista di questa vicenda ambientata in un futuro non troppo lontano. Proviene da ovest e raggiunge un avamposto diretto al confine. Il mondo che ha davanti agli occhi è una distesa desolata e desertica, terribile e inquietante, avara di vita. Il desiderio di Virgil è un luogo in cui qualcuno dovrebbe offrirgli un lavoro e per raggiungerlo paga un passaggio al poco amichevole Keith (Anthony Hayes). La situazione si complica quando il pick-up di Keith si ferma e durante la sosta Virgil individua nel terreno un gigantesco cumulo di oro che, chiaramente, ingolosisce i due. A questo punto le due strade si dividono: Keith torna indietro per recuperare uno scavatore, Virgil resta a vigilare sulla fortunata scoperta. Ma le cose non vanno esattamente secondo i piani, tutto si complica in modo inaspettato. Sarebbero stati sufficienti venti minuti per esaurire le questioni affrontate dal film che invece senza troppa immaginazione si smarrisce in un viaggio allucinato e per lo spettatore, suo malgrado e involontariamente, chiuso e senza un minimo di sentimento.