Life, Animated e la rappresentazione della malattia

All’età di 3 anni Owen Suskind inizia a manifestare una chiusura in se stesso e difficoltà di comunicazione che più tardi verranno diagnosticate come autismo. Nel 2014 suo padre Ron, affermato giornalista del “Wall Street Journal”, “New York Times” e “Esquire”, nonché premio Pulitzer, scrive Life, Animated: A Story of Sidekicks, Heroes and Autism, a cui il regista Roger Ross Williams (Oscar 2010 per Music by Prudence, documentario breve su un gruppo di disabili afroamericani) si è ispirato per girare Life, Animated. Un film che racconta, per voce soprattutto dei familiari del protagonista, come in aiuto di quel bambino silenzioso e incomprensibile sia arrivato l’universo narrativo di Peter Pan, La sirenetta, Bambi, Aladdin, Il gobbo di Notre Dame e molti altri. Più precisamente, i personaggi secondari dei film Disney, gli “assistenti” o sidekicks del titolo del libro. Owen, che conosce quei film a memoria guardandoli a ripetizione (e anche in vhs) legge la realtà attraverso quei personaggi, che gli permettono di affrontarne l’intrinseca crudeltà del mondo e di trovare per sé un posto e una voce. Il film riprende Owen nell’anno in cui il ragazzo, ormai 23enne, è riuscito a diplomarsi e sta per trasferirsi in una comunità protetta, lasciando il calore di casa e dovendo imparare a cavarsela da solo. Ogni ostacolo, paura, dubbio del ragazzo è accompagnato perciò da stralci di dialoghi e sequenze topiche di quei cartoon – i suoi strumenti di adattamento e relazione — oltre agli interventi del padre Ron, della madre Cornelia e del fratello maggiore Walt (!). Il primo dei felici paradossi del film è che sa essere favola e al tempo stesso denunciare in modo creativo lo stigma su una malattia oscura e insidiosa, sulla quale siamo curiosi di sapere di più anche da Tommy, l’imminente film del giornalista Gianluca Nicoletti che porta il titolo del figlio autistico, poco più che diciottenne. E infatti il film si fa più interessante quando illumina proprio loro, i “non malati” e il loro rapporto con il ragazzo e consapevolmente si trasforma in tributo alla cura familiare e al trauma della malattia (che il padre identifica con l’idea di “rapimento”).

 

Life, Animated al tempo stesso riporta al centro la questione della rappresentazione della malattia (recentemente indagata, tra gli altri, anche da Une jeune fille de 90 ans di Valeria Bruni Tedeschi e Yann Coridian), anche se qui la famiglia accerchia, protegge Owen e sovrintende con la sua presenza amorevole a tutta l’operazione, sia fuori che dentro lo schermo. Se la perplessità sulla stratificazione “meta” rimane, Life, Animated è comunque una visione preziosa per molti motivi: per come evidenzia il potere che le dinamiche della narrazione esercitano sulla psiche e per le molte forme con cui lo comunica: sensazionale reportage giornalistico, stravagante diario medico, film familiare misto ad animazione (The Land of the Lost Sidekicks, film nel film che rappresenta l’immaginazione di Owen al lavoro). Evitando ogni filtro tra Owen, protagonista straordinariamente fotogenico e comunicativo, e lo spettatore in sala (a parte la sua famiglia, che ha l’effetto di scatenare una fortissima empatia) il regista trascina automaticamente chi guarda nella sua entusiastica fascinazione per le storie. La cosa più notevole di Life, Animated è come mette in primo piano la stessa consapevolezza che ha permesso a Owen di reagire alla sua malattia, e cioè che ciascuno (soprattutto i personaggi secondari) abbia un peso nelle storie. Elemento che ci interpella come spettatori “sani”. Celebrazione della potenza taumaturgica del cinema, della sovranità e del conforto dello storytelling nelle nostre vite, Life, Animated è il caso tipico e piuttosto sconcertante di soggetto che supera la propria forma, molto elaborata. Infatti tanto il film è compiaciuto, costruito, a tratti perfino stucchevole nella pervicacia con cui si dirige verso un happy ending, quanto rivela al grande pubblico – dimostrandosi perciò imperdibile – una biografia eccezionale, un’irresistibile narrazione di caduta e riscatto. Procedendo molto meglio di una favola Disney – un mondo che, per esempio, non insegna come si bacia con la lingua, e ha sempre evitato tutto quello che riguarda il sesso — proprio per la sua natura di narrazione imperfetta, incrinata da quello (tanto) che resta fuori campo e dall’incombere del futuro sulla vita di Owen e dei suoi cari.