L’ombra dolce del soldato: a Visions du Réel Soldat Ahmet di Jannis Lenz

La ritrattistica in penombra, quella che lascia intravedere il doppio fondo della figura, che dialoga con la sua metà oscura per farla venire fuori. È il campo in cui si muove, molto bene, Soldat Ahmet (in questi giorni a Visions du Réel, online e a Nyon) primo lungo di Jannis Lenz, filmmaker austriaco dalla familiarità “meticcia” (nonna palestinese, sorella cambogiana, compagna afro-cubana) che gli ha permesso di entrare ben in sintonia con lo spiazzamento del suo protagonista, Ahmet Simsek: paramedico dell’esercito austriaco, origini turche, sogni da boxeur professionista e una passione per la recitazione che lo mette inaspettatamente di fronte al gioco d’ombra delle sue apparenti certezze… Lenz lo conosce bene Ahmet, perché era già stato il protagonista del suo primo film, Shadowboxer, un corto del 2015 che si era subito fatto notare per la precisione dell’approccio ritrattistico (premi a Diagonale e menzione a Edimburgo). Lì Lenz scandagliava il versante agonistico e marziale di Ahmet, qui in realtà lascia che sia la deriva artistica del suo bisogno di collocarsi ed esprimersi a guidare il gioco: se il titolo sembra volerci offrire infatti il versante coriaceo di Ahmet, il suo essere un soldato professionista al servizio del popolo austriaco, quel che ben presto emerge è il doppio fondo di insicurezza che questa persona coltiva, il bisogno di liberarsi dall’ossessione di definirsi con precisione come persona integrata, facendo dimenticare le sue origini familiari da immigrato.

 

 

E allora è proprio sulla scoperta della sua passione per la recitazione che il film lavora per lasciar emergere la trasparenza della sua personalità: il corso da attore che segue lo spinge a confrontarsi con le sue debolezze e il refrain su cui la rivelazione viene costruita da Lenz è l’incapacità di Ahmet di piangere, il profondo rifiuto delle lacrime che coltiva sin da bambino. Un bisogno di apparire forte, solido e inflessibile, che d’improvviso dialoga con la necessità di cedere alla fragilità per entrare finalmente in relazione con se stesso. In questa operazione, Lenz lavora un po’ come fosse uno sparring partner di Ahmet, gli sta alle costole con decisione ma lo accompagna nel suo training umano, costruendo assieme a lui un ritratto che emerge dialogando con l’intero spettro della sua personalità: quella limpida ma anche quella oscura, rimossa. C’è dolcezza e attenzione nello sguardo di Lenz, c’è comprensione e studio nella formulazione del ritratto: Soldat Ahmet cresce progressivamente e resta a lungo in circolo, proprio perché sa trattare la parte muscolare come quella tenera dal suo protagonista, tenendo insieme, come nella fiaba che apre e chiude il film, sia il destino del coccodrillo che quello della iena, alle cui lacrime e alle cui risate nessuno dà il giusto credito.

 

La scheda di “Soldat Ahmet” sul sito di Visions du Réel

Soldat Ahmet