Set in a beautiful seaside town on the Italian Riviera, Disney and Pixar’s “Luca” is a coming-of-age story about a boy and his newfound best friend experiencing an unforgettable summer filled with gelato, pasta and endless scooter rides. But their fun is threatened by a secret: they are sea monsters from another world. “Luca” is directed by Enrico Casarosa (“La Luna”) and produced by Andrea Warren (“Lava,” “Cars 3”). © 2021 Disney/Pixar. All Rights Reserved.

Luca di Enrico Casarosa: una nuova amicizia pixariana

«Altro che storielle!», esclama il pescatore Tommaso. Come Giacomo, con lui sulla barca, si è dovuto arrendere e ricredere appena il suo sguardo ha incrociato la figura di un mostro marino nuotare nella penombra. È notte, forse era soltanto un grosso pesce? Forse si trattava di un’illusione, una proiezione generata dalla sua paura? No, il mostro c’è e guizza davanti ai loro sguardi increduli. La sua esclamazione qualifica il film, che infatti non racconterà una storiella. Non solo, è appena cominciato ma già Luca ha messo in scena la sua essenza raccontando la soglia che separa il visibile e l’invisibile, il consueto e lo straordinario, la terra e l’acqua. Il nuovo film Disney-Pixar, firmato dal regista Enrico Casarosa (già autore del bel cortometraggio La Luna), genovese di nascita, racconta l’amicizia mostruosa vissuta durante un’estate italiana tra gli anni ’50 e ’60 da Luca Paguro e Alberto Scorfano, due mostri marini che all’aria aperta assumono sembianze umane. Emersi dalle profondità marine, ispirati dal sogno di guidare una vera Vespa, i due raggiungeranno la località di Portorosso dove incontreranno Giulia, una ragazzina intraprendente il cui padre è un pescatore burbero e brontolone, ma dolce, di nome Massimo Marcovaldo, e insieme proveranno a vincere la Portorosso cup e sconfiggere l’antipatico Ercole Visconti.

 

 

Film acquatico e mostruoso, di pasta al pesto e coni gelato, tuffi nel mare, biciclette e stelle da guardare, Luca offre diversi spunti nuovi rispetto al recente immaginario Pixar. La semplificazione della sceneggiatura è una scelta funzionale all’economia del film e, più in generale, a tutto il cinema della casa di Emeryville che in questa occasione, con intelligenza, vira nettamente verso una direzione più allegra, colorata e leggera (disneyana?) ma non meno seria. Perché se è vero che, da una parte, con Luca Pixar sembra volersi liberare dalla densità di forme, temi e situazioni che avevano contraddistinto (e appesantito, in modi diversi) le opere più celebri dell’ultimo decennio da Inside Out a Coco fino a Soul, dall’altra, questa semplificazione, concede allo spettatore più di un’opportunità per evadere e riflettere, godere dello spettacolo e pure recuperare quella sana e genuina grazia tipica dei capisaldi della sua epoca d’oro. Tutto questo avvicina Luca più a un titolo nominale come Onward che a un titolo esplicitamente infantile e decisamente meno compiuto come Il viaggio di Arlo o, per uscire dai confini, più al cinema della prima Amblin e dello studio Ghibli che a quello di Del Toro o Burton.

 

 

In Luca, infatti, fin dai primi minuti lo spettatore è convocato a fare i conti con la messa in scena di un modo e di un mondo cinematografico, la mostruosità, sintomo di una visione estatica che si può vedere e non-vedere ma che mette in chiaro e riepiloga motivi (la diversità, l’amicizia, l’intrusione in nuovi mondi, aprire nuovi orizzonti) e situazioni (di tanto cinema Pixar, ma non solo: da Alla ricerca di Nemo a La Sirenetta, da Pinocchio a Ponyo sulla scogliera e Kiki consegne a domicilio, passando per Ribelle e Monster & Co.) ma anche traduce un meraviglioso ragionamento sul cinema: fantasma e sogno, distacco e contatto, fumo negli occhi e passione nel cuore, avventura, amore e separazione. Così, da semplice nascondiglio, luogo avulso e separato dove si cerca la solitudine o l’emancipazione da genitori conservatori, Portorosso (luogo fittizio che mescola tante suggestioni e altrettante località liguri) si trasforma in luogo di generazione, salvezza, speranza, crescita interiore come il cinema nella sua migliore forma riesce a fare creando alternative di senso alla realtà e nuove strade immaginifiche. Così, da scenario cartolina intriso di nostalgia e sogno (in Luca si sogna molto), l’Italia (percepita in Cars con le Ferrari di Luigi e vista in Cars 2, ma lì molto più banalizzata) si rivela ingranaggio fondamentale perché resa a icona e mito di uno stato d’animo che, sì, utilizza gli stereotipi ma lo fa in modo giusto, scoperchiando uno stupore inconsueto per luoghi remoti e segreti racchiuso dai particolari: la fotografia di Mastroianni, il poster di Vacanze romane e La strada, la canzone (diegetica) di Gianni Morandi.

 

 

 

Inoltre, come se non bastasse, non bisognerebbe trascurare l’ideologia politico-simbolica di cui questo film è portatore: lo schema ripetuto della contrapposizione tra marini e terrestri, nella variante mostro/sbagliato versus umano/giusto, è la perfetta traduzione visiva di un nuovo sguardo sulla realtà. Infatti, l’orgoglio tutto americano che in tanti film Pixar insegna l’indipendenza anziché l’obbedienza, la libertà anziché l’integrazione a un gruppo, il rispetto della Natura anziché le illusioni del progresso qui, inizialmente, sembra essere la prospettiva inseguita da Alberto. Convinto sostenitore di una libertà assoluta «la mia vita è una favola», ma condizionata all’oggetto del desiderio, cioè la Vespa, unico elemento realmente capace di restituire quell’idea di libertà, l’amico di Luca è un ribelle, vive solo perché abbandonato dal padre, deluso e nel profondo impaurito, ma grazie all’inclusione nella famiglia Marcovaldo comprenderà la ricchezza di un’altra forma di libertà, quella donata all’amico in partenza per andare a scuola. Per come dosa sapientemente mélo e coming of age, la scena finale del film, in stazione, dove i due amici si salutano dal treno è una delle più riuscite dell’intero sistema retorico Pixar: «Vai Luca, ciao!». Invece, il fantasma della minaccia subita, secondo uno schema recursivo che percorre trasversalmente tutta la storia e la cultura americana (Luca è un film americano ma diretto da un regista italiano) traduce bene (volontariamente o no) ciò che il Mediterraneo sta vivendo in questi anni. E anche per questo Luca è un film nuovo e diverso dal resto. Infine, a scanso di equivoci, qui non ci sono personaggi patetici ma eroi anomali, caratterizzati non dalla potenza fisica o dalla sagacia intellettuale, ma da un sovrappiù di affettività, fantasia e creatività. L’amicizia tra Luca e Alberto non ricorda altri sodalizi pixariani; per entusiasmo e coraggio Giulia è un’estensione di Ellie di Up ma prende linee narrative proprie; le figure genitoriali come papà Massimo e mamma Daniela sono moderne e solide, asciutte e concrete. Soprattutto, grazie a nonna Paguro arriva il senso di quella che, alla fine, poi storiella non è: «Alcune persone non lo accetteranno mai. Ma altre sì. E sembra che lui sappia riconoscere quelle giuste». Un adagio molto realista e sano che azzera ogni fanatismo e autodeterminismo. L’estate finisce. Inizia una nuova vita. L’estate tornerà «ma so che la città vuota mi sembrerà se non torni tu». Più di un tempo trascorso insieme, soluzione che avrebbe generato il trionfo del sentimentalismo più accomodante, Luca sceglie di raccontare la portata di un sentimento. Mica poco.