Microbo & Gasolina – L’arte di resistere al reale

MEG_5Giocosamente visionario, ma serio nel voler imporre una realtà insolita, personalizzata dallo sguardo di chi la vede e la inventa. I film di Michel Gondry, poeta tra i più puri e ispirati del nostro tempo, respirano un’idea di incontestabile novità, pur facendo continuo riferimento ai trucchi di un antico artigiano, e che, pur nella diversità delle storie, sono il magnifico pretesto per mettere in scena il cinema, vederlo nascere e assistere alla sua continua magia. In ogni sua immagine (tra videoclip, spot pubblicitari, corti e lungometraggi) ciò che per prima cosa colpisce è l’idea di assistere ad una sorta di omaggio incantato all’arte che inventa il movimento, una macchina da smontare e rimontare, eppure così uguale ai meccanismi del sogno e dell’immaginazione. Lo stesso vale per l’ultimo gioiello appena uscito nelle sale italiane (distribuisce Movies Inspired), Microbo & Gasolina, storia che sembra autobiografica, di due ragazzini intraprendenti e a loro modo emarginati, il primo, Daniel, è delicato e magrissimo (soprannominato Microbo dai compagni di classe), coi capelli lunghi e una sensibilità che lo rende diverso dagli altri, il secondo Theo, pieno di talento e di iniziativa, bravo a scrivere e a costruire le cose più strane con mezzi di recupero, chiamato non a caso Gasolina per l’odore di cui si impregna). Fanno amicizia perché entrambi vedono nell’altro un dolore da confortare. Troppo amato da una madre depressa Daniel, disprezzato, invece, da entrambi i genitori Theo. Fragilità a confronto in una storia così piena di dettagli da scorrere velocemente e tutta d’un fiato, capitolo dopo capitolo di un’estate in cui entrambi crescono conoscendo il valore dell’amicizia e assaporando libertà e indipendenza.

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Devono superare le proprie paure, gli ostacoli che la vita, in modi diversi, ha posto loro di fronte e per farlo è necessario affrancarsi dall’immagine che gli altri vogliono imporre. Per ottenere tutto questo la cosa migliore è passare inosservati, ma senza nascondersi. Semplicemente proteggendosi dietro una forma rassicurante, il simbolo della normalità. Così costruiscono un’automobile a forma di casetta di legno, con i gerani alla finestra, che offra contemporaneamente un riparo e uno schermo dalle regole del mondo egli adulti. Tutto diventa semplice lungo le strade di campagna che percorrono e anche i garbugli dei loro pensieri sembrano addolcirsi. Chissà quanto tempo trascorrono Daniel e Theo in questo loro viaggio. Potrebbero essere pochi giorni o settimane intere, durante le quali le cose si trasformano. La contaminazione è la parola d’ordine che consente alle situazioni di dialogare tra loro proprio nel momento in cui vengono ribaltati i punti di riferimento. E la deviazione del percorso dal Massiccio Centrale al lago (dove trascorre le vacanze la bella Laura, amata da Daniel), ne è l’evidenza. Una lettera li ha portati fin lì, proprio come nello splendido cortometraggio girato da Gondry nel ’98, La lettre, appunto, in cui un ragazzino innamorato scatta continue fotografie all’oggetto dei suoi desideri, ma una sua lettera prima delle vacanze sarà motore di un cambiamento. Daniel, a scuola, ritraeva Laura a penna, incredulo e incantato, senza riuscire mai a finire quel disegno. Sono sfumature che appartengono al mondo immaginario di un regista il cui sguardo completa le intermittenze di un reale più semplice della vita vera, fatto come l’ingranaggio del motore a due tempi, schietto, sporco e sempre affidabile. E poi, come sempre in Gondry, la favola assume toni tragici e la leggerezza del racconto si disperde in frammenti di profonda malinconia, in un finale dolce e amaro, lontano dalla favola, dalla libertà e dai pensieri di disarmante essenzialità.