Oltre il confine di Alessandro Valenti, una fiaba moderna al Giffoni Film Festival

Ha la struttura della fiaba e parla di immigrazione, natura, emancipazione, amicizia, amore senza farsi mancare una sana dose di realismo magico. Molte le suggestioni così come i rimandi (da Il signore delle mosche di Golding a E venne il giorno di Shyamalan), contenute in Oltre il confine, la riuscita opera prima di Alessandro Valenti che l’ha scritta diretta e prodotta e che è stata presentata in anteprima al Giffoni Film Festival. In Senegal Bekisisa e il fratellino Eno accudiscono la madre malata che si fa promettere dai due, quando lei non ci sarà più, di tornare in Italia, a Roma, dallo zio Fallou. Non conta che siano stati già cacciati una volta, la donna dice che non succederà perché l’espulsione riguardava il padre e non i bambini. Rimasti soli i due affrontano il viaggio, sotto la protezione della madre («Adesso che siamo soli proteggici con il tuo spirito»), con la quale Bekisisa continua a parlare e che si trasforma nel loro nume tutelare, una sorta di divinità contro cui imprecare quando le cose vanno male («Mamma dove sei? Mi Hai mentito e lasciata sola. Ti odio»).

 

 

Valenti evita le trappole retoriche del viaggio della speranza, risolvendo la scena dello sbarco in maniera poetica e particolarmente efficace. Sentendo dei rumori sospetti nella foresta Bekisisa dice al fratello di entrare in acqua perché “in acqua nessuno può farci del male” e l’acqua che li accoglie in Senegal diventa quella dello sbarco sulle coste italiane. Qui fratello e sorella trovano rifugio in una fabbrica dismessa dove vive una comunità di bambini che li accoglie, ma dove devono sottostare alle regole («Se non portate niente, non mangiate»).  La necessità di trovare i soldi per il viaggio a Roma li fa cacciare in una brutta situazione che compromette tutto. Entrano in scena i cattivi, capitanati da Gigetto (Nicola Rignanese), l’orco dal nome di topolino, che dà fuoco alla fabbrica e fa prigionieri i bambini per poi sfruttarli. Bekisisa e Eno riescono a fuggire ma sono separati da Alaba, il nuovo amico che sta diventando qualcosa di più per la ragazza. I due fuggitivi vengono accolti da una fata apicoltrice (Iaia Forte), un’attrice che li rifocilla e offre loro un posto dove stare e a cui Bekisisa insegna come parlare con il marito morto. Un mondo in cui la natura è un’alleata con alberi che sembrano ideogrammi e che effettivamente permettono di comunicare con una dimensione ultraterrena, api che “ti capiscono, ti aiutano” e animali che una voce melodiosa può addomesticare. Un perfetto racconto di formazione con le inevitabili insidie da superare che ogni crescita porta con sé («d’ora in poi ce la faremo»).