Partorire la Storia: Madres paralelas di Pedro Almodóvar

La Storia partorisce in silenzio, la vita viene al mondo nel dolore: è in questa opposta consapevolezza che Pedro Almodóvar inscrive Madres paralelas (che ha aperto in concorso Venezia 78), tenendolo stretto nell’abbraccio di un dialogo tra la vita e la morte, tra l’esistere che è narrazione, destino, appartenenza, continuità, e il morire che è silenzio, frattura, occultamento, mancanza, dimenticanza… Alla lacrima dei viventi Almodóvar è abituato, regista di drammi che si spingono quasi sempre e comunque nel melodramma per definire il tormentoso esistere dell’umanità. Al dolore della Storia ci arriva ora, scoprendosi regista che guarda al passato collettivo per raccontare la terribile morte dei dimenticati: Madres Paralelas è un film che insiste sul tormento rimosso della Spagna, sulle colpe del franchismo amnistiate per decreto nel 1977 e oggi rimesse in discussione in parlamento, e lo fa mentre racconta di due madri che partoriscono insieme e di due figlie che vengono al mondo allo stesso momento ma con opposto destino. Nella goccia di latte che è quasi lacrima pianta dal seno di una madre sul manifesto, c’è la storia di questo film limpido e complesso, che intreccia le verità rimosse e occultate con il potere della rivelazione. Janis (Penelope Cruz) è una fotografa di moda, donna indipendente che proviene da un passato in cui le donne sono testimoni e custodi della verità: madri e mogli che una notte, durante la guerra, hanno visto portare via figli e mariti dai falangisti di Franco e non li hanno mai più rivisti, sprofondati e dimenticati in una delle tante fosse comuni che l’amnistia del ’77 ha preteso di rimuovere dalle responsabilità della Storia.

 

 

Janis è la nipote di uno di quegli uomini e assieme alla nonna e a tutte le donne del suo villaggio d’infanzia oggi vuole aprire quella fossa e riportare alla luce la verità e la dignità di quei corpi. È a partire da questo desiderio che si ritrova incinta, dopo una notte d’amore con Arturo, medico forense che la sta aiutando nella sua impresa. E partorisce nello stesso momento di Ana (Milena Smit), giovane madre con cui condivide la stanza d’ospedale, che invece è una ragazza che proviene da una famiglia disunita, figlia di una madre attrice che non sa essere presente e di un padre che praticamente non conosce. In questo incontro casuale Almodóvar definisce la sfera di una storia che parla del bisogno di affermare la forza della vita come storia individuale e collettiva, come principio esistenziale che nutre il proprio ciclo sia nell’arco biologico dei viventi che in quello storico della collettività. Senza entrare in dettagli a rischio di spoiler, per parlare di Madres Paralelas bisogna dire di un film che sta nell’arco di due corpi femminili che partoriscono la vita nel dolore e di una terra che partorisce la morte strappandola al silenzio. In mezzo ci sono le torsioni delle esistenze, gioie e drammi della quotidianità che parlano della libertà dell’amore, della paura della verità, della gelosia e della generosità, soprattutto della dignità di una vita che sappia essere comunione, condivisione, partecipazione. È questo in sostanza il lascito di Almodóvar con Madres Paralelas: la narrazione di una simmetria tra la vita e la morte che livella il destino dei viventi nella dignità della verità, nella gloria della luce. Venire al mondo e tornare polvere nella terra sono atti complementari di una biografia che è degna di essere narrata, biologica o storica che essa sia.