Per un cinecomic transmediale: Spider-Man Across the Spider-Verse di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson

A margine della campagna promozionale per Guardiani della Galassia vol. 3, James Gunn si è fatto notare di recente per un video dedicato ai suoi cinecomic preferiti, dove a svettare sui tanti lungometraggi prodotti dalla fine degli anni Settanta al presente, è stato Spider-Man: Un nuovo universo. L’aspetto più sorprendente dell’incoronazione è come non tenga volutamente conto della differenza linguistica e sostanziale che intercorre fra un cinecomic in live action e un film animato. La sfida di piegare sempre più il reale alle regole di una cartoonizzazione sfrenata è dopotutto il terreno su cui si stanno effettivamente giocando i destini di molte delle più recenti pellicole: quelle dei Guardiani ne sono un ottimo esempio, ma si potrebbero tirare in ballo anche i tanti adattamenti dei cartoon Disney. Si tratta di una prospettiva interessante, nella misura in cui appaia le due forme espressive, offrendo una possibilità di ricombinarne i confini in una forma narrativa che, se non è propriamente originale (la stessa Disney ha nei decenni esplorato con profitto la cosiddetta tecnica mista), può sicuramente offrire un’inedita freschezza al cinema di massa. Un titolo come Spider-Man: Across the Spider-Verse è in questo senso la migliore delle dichiarazioni possibili per il nuovo corso del cinema spettacolare. Se, di fatto, si tratta di un sequel diretto del precedente e già citato Un nuovo universo, di fatto la nuova avventura di Miles Morales è un autentico nodo quantico narrativo, dove confluiscono senza soluzioni di continuità cinema, fumetto e animazioni.

 

 

La ricerca di una perenne difformità stilistica, diventa in questo senso un intento preciso per rendere il cinecomic materia fluida e perennemente manipolabile, in ossequio a una libertà espressiva totale (non a caso rilanciata e supportata attraverso continui tweet, da un esperto e entusiasta esegeta della materia come Guillermo del Toro). Sin dalle prime battute, la vita di Miles e i suoi incontri con gli infiniti sé stesso nel multiverso è infatti raccontata attraverso una visualità caleidoscopica e sovraeccitata, che non serve tanto a connotare (e quindi confinare in sé stessi) i vari “mondi” della storia, ma che al contrario è usata per lasciar confluire gli stessi in un folgorante esempio di narrazione totale. Se la scelta di lasciar irrompere nel flusso delle immagini tavole di fumetto o personaggi in live action sembra quasi uno scampolo di autorialità imprevedibile alla Hideaki Anno, a conti fatti è interessante notare come anche all’interno dell’economia della singole sequenze gli stili continuino a modificarsi costantemente, in una visualità proteiforme. La scelta è naturalmente propedeutica a descrivere le incertezze di un protagonista sbalzato in un’avventura più grande di lui, ma che a vari livelli esteriorizza i timori e il senso di inadeguatezza rispetto al mondo degli spettatori più giovani, oltre a rinnovare la complessità e la ricchezza dei meccanismi codificati dai co-sceneggiatori Phil Lord e Christopher Miller.

 

 

In questo senso è importante notare come la sperimentazione stilistica non diventi mai esercizio di stile fine a sé stesso, ma esalti invece la varietà caratteriale dei vari “multipli” ragneschi, da una Spider-Woman alle prese con un difficile rapporto con il padre che la crede un’assassina, a uno Spider-Punk antisistema, a uno Spider-Man 2099 ossessionato dal mantenimento delle regole, sebbene scisso fra una natura umana e una vampiresca. In questo modo, e distanziandosi nettamente da un capitolo precedente innovativo, ma comunque ben iscrivibile in una narrazione lineare, Across the Spider-Verse non presenta una sinossi tradizionale, con un super nemico da fermare. La lotta è invece interna ai vari multipli ragneschi e investe Miles quale elemento attorno a cui far triangolare l’incertezza di un mondo indeterminato. Il che equivale a farlo portabandiera del più centrato dei temi possibili, mentre la narrazione sembra erroneamente non avere un baricentro proprio e ondeggia tra differenti versanti narrativi e stilistici. In questo modo, Across the Spider-Verse è il primo autentico cinecomic transmediale e transnarrativo, e la sensazione è di assistere a una tappa fondamentale per il suo genere, ma anche per il modo di raccontare un film spettacolare per il pubblico. Una tappa, per una volta, veramente esaltante.