Poco fiele e molto champagne: The Palace, di Roman Polanski

Chi ha più anni ricorderà che nel 1972 uscì in sala per la regia di Roman Polanski Che? Commedia grottesca e surreale ambientata sulla Costiera Amalfitana ispirata al carroliano Alice nel paese delle meraviglie. Film preludio, per la filmografia del grande regista polacco e quell’indagine sopra le righe avrebbe caratterizzato il suo cinema futuro volto a ricercare la verità al di là del muro, in quella parte opaca della coscienza dove non tutto è visibile, ma in modo ugualmente coerente, neppure tutto è invisibile. Con una identica struttura narrativa, un po’ alla Agatha Christie che amava radunare i suoi personaggi nel chiuso di un luogo per verificarne, quasi da entomologa, i comportamenti, Polanski avrebbe realizzato, pochi anni dopo L’inquilino del terzo piano che forse rappresenta uno dei punti apicali della sua ricerca mettendo sé stesso con i suoi bui mentali al centro della scena come protagonista del film. Anche The Palace, nel Fuori concorso veneziano 2023, possiede le stesse caratteristiche, ma se ne distanzia per altre e più evidenti ragioni. Il film è una coproduzione italiana ambientata in un fantomatico Grand Hotel montano, con tanto di montagne favolisticamente imbiancate, dove il personale, guidato da un integerrimo capo tedesco che sembra dovere addestrare le truppe piuttosto che il personale di un hotel che deve dedicarsi ai ricchi ospiti, si preparano a vivere la notte di fine anno e inizio del nuovo millennio tra le paure del millennium bug e i primi rivolgimenti politici nell’est europeo.

 

 

Arrivano gli ospiti e l’hotel si arricchisce di storie dal ricco magnate che ricorda Trump alla vedova che ama essere consolata, con i russi già alle prese con una più che evidente corruzione politica al disfarsi di quell’impero sovietico con il passaggio delle consegne da un malato e ormai non più affidabile Eltsin al rampante Vladimir Putin con tanto di passaggio televisivo. In altre parole la struttura del film è quella consolidata di una commedia a – sia detto con rispetto – le vacanze di Natale. Ovviamente Polanski è Polanski e il film con raffinata fattura porta a casa gli applausi, le risate composte e l’aplomb di un chiaro divertissement che cattura l’attenzione e fa scorrere il tempo con la facilità di un piacevole gioco. Ma ciò detto certo non si può dire che il pur gradevole The Palace aggiunga molto a ciò che sappiamo sul mondo di Polanski, un film nel quale nessuno rischia neppure il nostro Luca Barbareschi che è intervenuto con decisione nel progetto che in realtà si avvale di una scrittura ferrea, diremmo esemplare. Non a caso delle tre firme oltre a quella dello stesso regista ritroviamo la mano di Jerzy Skolimowski già coautore con lo stesso Polanski di Il coltello nell’acqua e la terza è quella di Ewa Piaskoeska.

 

 

The Palace quindi ha tutte le caratteristiche per diventare un film best seller con una schiera di attori che va Fanny Ardant a John Cleese e da Mickey Rourke allo stesso Barbareschi e al nostro Fortunato Cerlino. Tutto si affida al meccanismo perfetto dei tempi narrativi e in questo oltre al regista, anche Skolimowski ha molto da insegnare, basta guardare per pensare ai tempi recenti a 11 minuti. Polanski che ha girato il film a Gstaad in Svizzera dove adesso abita, protetto dai suoi guai giudiziari dal Paese che assicura neutralità per ogni situazione, sembra volersi togliere qualche pietra dalla scarpa e la stilettata alla Russia putiniana, che abilmente viene inserita nel gioco ad incastro del film, funziona restando l’unico riferimento alieno per un film che si affida al divertimento piacevole e scorrevole che suscita risate composte – il che lo differenzia ovviamente dagli altri prodotti in precedenza citati – e qualche riflessione senza eccedere. Forse però ci saremmo aspettati altro dal novantenne regista polacco, ci saremmo aspettati un film spiazzante e corrosivo – questo in parte lo è, ma lo è nella norma della commedia acida – ci saremmo aspettati, invece, un film, per l’appunto fuori da ogni norma, magari anche oscuro e labirintico, invece Polanski ci ha spiazzato in altro modo, consegnandoci un’opera frizzante, perfetta, divertente, ma anche prevedibile che non divide e non alimenta polemiche. Che con la terza età abbia messo la testa a partito? Il suo cinema è stato un punto di riferimento quanto a dimostrare fino a dove si potesse spingere la malefica corrosività del cinema dal fiele che ha distribuito con i suoi racconti siamo arrivati allo champagne di The Palace dove comunque, sparsa qua e là qualche goccia di veleno c’è per un autore che molto ha detto con le sue storie su quei punti oscuri della coscienza e che oggi invece del buio sceglie il bianco immacolato delle nevi svizzere.