Riscrivere il finale: Another End di Pietro Messina

Il fermo immagine sul dolore del finale, trasformato nella scena unica di una sterminata elaborazione del lutto: già L’attesa, la opera prima di Pietro Messina, vista in Concorso a Venezia 2015, lavorava d’intensità sull’incapacità di una madre (Juliette Binoche) di accettare la morte del figlio, perennemente e inutilmente aspettato nella villa di famiglia per le vacanze estive. Il tema torna anche in Another End (in Concorso alla Berlinale74), opera seconda del regista siciliano, dove però assume le forme di un dramma sentimentale in ambiente cyberfantasy: questione di biotecnologie del futuro che aprono scenari nuovi per la gestione del trauma da separazione più o meno improvvisa, come dire per l’elaborazione del lutto. Scrivere un’altra fine per ridefinire la fabula, che poi in un’epoca dominata dalle narrazioni infinitive, seriali, è un po’ un’utopia del benessere applicata all’incapacità di farla davvero finita: Pietro Messina nel suo film s’inventa Aeterna, una compagnia che ha sviluppato una tecnologia in grado di reinstallare l’intera esperienza di vita di una persona morta nel corpo di un ospite, che per denaro e per un numero limitato di sedute accetta di reincarnare il defunto.

 

 
Un revenant di nuova generazione, biomeccanica della resurrezione che torna utile al protagonista di Another End, Sal (Gael García Bernal), sopravvissuto all’incidente in cui ha perso la sua compagna Zoe, ma incapace di sopravvivere al dolore per la sua perdita, al ricordo dei giorni felici e soprattutto di quelli infelici… L’offerta della sorella Eve (Bérénice Bejo) di tentare la terapia offerta da Aeterna, infine accettata da Sal, mette in campo Ava (Renate Reinsve), entreneuse di periferia, vita solitaria e amara, che accetta di ospitare Zoe nel suo corpo e di incarnarla a beneficio di Sal. Il quale ritrova infatti i suoi giorni felici, ma non riesce più a farne a meno, spingendo il trattamento oltre i limiti. E scoprendo che dall’altra parte c’è Ava, con la sua vita, i suoi sentimenti veri e lo strano effetto collaterale di iniziare a provare qualcosa per Sal… L’idea di rielaborare la fine, di riscrivere l’ending solitario di una storia d’amore cristallizzata nei ricordi non sempre felici e nell’attimo drammatico che l’ha vista cadere, ha un qualcosa di sterminatamente romantico, che il cinema cyberfantasy conosce molto bene, ma che necessita di una leggerezza, di una fantasia trasparente e libera che solo autori come Michel Gondry (Se mi lasci ti cancello) riescono a gestire adeguatamente. L’approccio denso e problematico, psicologicamente realistico scelto da Pietro Messina rende invece Another End un oggetto troppo opaco, incapace di lasciar intravedere la volatilità dei sentimenti posti dinnanzi alla loro manipolazione. Il film si avvita attorno al dramma psicologico del protagonista senza riuscire davvero a elaborare nella seconda parte il melodramma del nuovo amore possibile, il tema dell’impedimento opposto alle persone reali dalla futuribile manipolazione biomeccanica. Another End contiene in nuce molti elementi che però restano schiacciati sotto il peso di una messa in scena che non sa svincolarsi dall’assetto produttivo ed espressivo prescelto. La stessa interpretazione di Gael García Bernal non trova quasi mai respiro, mentre molto più fluida e sensibile appare la Ava/Zoe di Renate Reinsve. L’equilibrio della messa in scena tra la chiave fantascientifica e il realismo è però molto interessante ed è forse per questo che ci si sarebbe aspettati dal film una maggiore sfumatura degli elementi in campo.