La rivoluzione sui tasti di un pianoforte, tra le righe del pentagramma, nella penombra di un collegio femminile veneziano. La datazione è fine ‘700, si parla di Napoleone alle porte e di una imminente visita del Papa che mette tutti in fermento. Il setting di Gloria! è questo, storicizzato eppure pronto a essere scavalcato nella fantasia che libera i pensieri e le menti sul filo di una musica che si rivela nuova. L’opera prima di Margherita Vicario, che giunge dalla Berlinale74, scherza col fuoco sacro della rivoluzione incarnandolo nella simbologia di una musica che ambisce a essere impari rispetto alle attese del tempo: lo dice a Teresa il buon Romeo (interpretato da Elio), il tuttofare del convento, che i tasti dispari vanno d’accordo… Presagio di una sonorità che non parifica le note e che accende l’istinto e le dita della mite Teresa, orfana che tutti credono muta e disgraziata e che infatti fa la serva vessata dall’abate Perlina (un Paolo Rossi mai così sanguigno e vero). Il fermento che anima il collegio per la visita del Papa è quello che serpeggia nella struttura stessa del film, tutto proteso verso una narrazione che anela alla performance avanguardista ma si avvita su trucco e parrucco in costume, per quanto impolverato e basso. La linea espressiva è quella dello storicismo lirico tendente all’astratto, tipico del cinema italiano di prima linea delle ultime stagioni, e Margherita Vicario lo adotta consapevolmente, col settaggio produttivo giusto allestito da Tempesta Film.
E la sceneggiatura della stessa regista con Anita Rivaroli dispone il riscatto delle orfane di fronte al mondo nella linea musicale di una sovversione stilistica destinata a fare scandalo, troppo avanti rispetto ai tempi. Teresa (interpretata da Galatea Bellugi con manzoniana modestia) si lascia ispirare i versi dalla vita e le note dai pensieri e ogni notte stupisce le compagne dell’orchestra che si riuniscono con lei attorno al nuovissimo pianoforte, donato al collegio da un benefattore. L’odioso Don Perlina la minaccia, ma intanto non riesce a comporre il concerto che ha promesso per l’arrivo del Papa e si ritrova nei guai, costretto ad accettare lo spartito di Teresa e delle amiche, che tra una cosa e l’altra finiranno col prendere il controllo dell’esibizione, portando uno scompiglio gioiosamente rivoltoso che sembra una versione femminile e musicale di Zéro de conduite di Jean Vigo.
Il film giunge all’atto finale forte di un andamento che insiste su una semplice poesia della creazione musicale, giochi d’ombra con le sonorità moderne, mentre il mondo attorno attende solo ciò che è classico. I vissuti musicali della carriera di Margherita Vicario sono materia pulsante per la sensibilità del suo approccio al cinema. Che poi, però, sotto profilo filmico appare piuttosto conciliato con moduli e formalità nella norma di una messa in scena perfetta, che proprio non riesce a fornire un’idea di cinema differente, una diversa attenzione per l’esistere. Se la domanda è da dove venga e dove possa andare il cinema di questa giovane e già ben piazzata autrice, allora la risposta parla di un approccio protetto e condiviso, che demanda l’innovazione più che altro alla scrittura. Se invece la domanda è cosa può lasciarci un film come Gloria!, allora la risposta va in direzione di un rapporto passionale con il cinema e la musica e di un vissuto alternativo.