Saint Jack, il capolavoro dimenticato di Peter Bogdanovich

Ci sono dei capolavori che lasciano una traccia indelebile speciale all’interno di una filmografia, quella di Peter Bogdanovich, lunga cinquant’anni e popolata di capolavori, da quelli più noti a quelli dalla vita pubblica meno fortunata. Capolavori nei capolavori sono …E tutti risero del 1981 e Texasville del 1990. Eppure c’è un film che si staglia davvero unico nell’opera del cineasta americano (e che egli considerava uno dei suoi migliori), un “film-cerniera”, come lo definì lo stesso Bogdanovich. Si tratta di Saint Jack, precede di due anni le scorribande danzanti per New York di investigatori e clienti coreografate in …E tutti risero, chiude un decennio, gli anni Settanta, e ha per set esclusivo Singapore, dalla prima all’ultima inquadratura. Non è una commedia, non è un musical, non è un film esplicitamente drammatico, non ha sconfinamenti teatrali o dichiarati riferimenti cinefili. Ovvero, gli elementi ricorrenti nel cinema di Bogdanovich. È un film dove, per quasi due ore, sembra non accadere nulla e invece accade di tutto. È un film che, con lo sguardo (e la languida, sensuale tavolozza cromatica creata dal direttore della fotografia Robby Müller), i movimenti della macchina da presa (fin dalla panoramica iniziale a 360 gradi), l’incessante movimento dei corpi, tanto dei protagonisti quanto della folla anonima, negli spazi di ogni immagine, avvolge qualsiasi cosa “tocchi”.

 

 

Uno sguardo al tempo stesso vorticoso e placido, che non smette di afferrare dettagli, insinuarsi negli edifici, nelle stanze, nei piccoli uffici, nei vicoli, nelle strade, nei ponti che fiancheggiano il porto, che fa sentire il caldo, l’umidità, la pioggia, i corpi sudati, abituati a quel clima o soffrendolo. Dentro queste immagini si sposta con l’indolenza di un flâneur Ben Gazzara, il cui personaggio di Jack Flowers si è da tempo ritirato su quell’isola, lontano dagli Stati Uniti (come fece Bogdanovich che, dopo tormentati anni lavorativi in Usa, sentì il bisogno di andare a girare un film altrove), in una città dove conosce tutti e tutti lo conoscono, dove sogna di aprire un bordello tutto suo e intanto gestisce un ampio traffico di prostituzione, una “ronde” di donne e uomini che entrano e escono di scena come se tutto accadesse con naturalezza, come se la messa in scena non esistesse. Potenza e sontuosità del cinema classico. Si parla di sesso e lo si pratica, c’è la mafia cinese che tallona Jack, ci sono gli inglesi espatriati che passano il loro tempo al bancone del bar o nelle camere da letto, c’è un ispettore contabile giunto da Hong Kong (Denholm Elliott), c’è un agente della Cia (interpretato da Bogdanovich) che sa molte cose sulla vita di Jack e lo vorrebbe incastrare in un gioco pericoloso, ci sono i giovani militari americani in licenza perché Saint Jack è ambientato all’inizio degli anni Settanta e la guerra in Vietnam è in corso dietro l’angolo. Gli anni passano, ma tutto sembra restare immutato, identico. Anche se nel frattempo, fra le altre cose, la casa d’appuntamenti frequentata da Jack è stata distrutta dai rivali.

 

 

Ben Gazzara porta a spasso il suo corpo, sornione come il suo sguardo. Indimenticabile. Uomo dal cuore d’oro, in un continuo stato sonno-lento, che ai soldi che potrebbero renderlo ricco preferisce quel vivere alla giornata, sedurre con i suoi occhi, le sue parole, i suoi gesti. Seduce ed è sedotto. Lui e la città e i suoi abitanti sono un corpo unico, si capiscono, hanno instaurato un profondo rapporto di intesa e complicità. Jack è un magnifico perdente, uno sconfitto che ama la lealtà e le relazioni umane, che si districa in quegli ambienti e tra quella folla “abbandonandosi” al torpore diffuso e inebriante. E così Bogdanovich, nel descrivere e filmare questa febbricitante umanità sul viale del tramonto (e una Singapore in fase di trasformazione), realizza un suo personalissimo “musical” lontano dagli studios, dentro il corpo vibrante di una città dove il tempo si annulla nella ripetizione infinita di movimenti che si vorrebbe non finissero mai.
A quando la disponibilità in home video di questo film anche in Italia?