Shark Bait di James Nunn e un immaginario (s)finito

Ci sono film che tentano di nascondere la propria natura adescando ripetutamente lo spettatore in modo netto, concedendogli sempre ciò che chiede, e altri che costruiscono l’intrattenimento svelando i propri meccanismi senza trucchi e inganni, riservando sorprese. Shark Bait di James Nunn, ultimo tassello del filone shark movie, è chiaro sia senza ambizioni e non abbia intenzione di sovvertire le regole del genere ma è altresì chiaro non faccia alcuno sforzo per uscire da quella sfarzosa e comoda ambiguità che ne contorna la forma. Non solo per i limiti di un racconto che pare ripescare i feticci di un immaginario ampiamente rimasticato e giunto alla deriva, se non del tutto immerso in una profonda crisi, e neppure per la mancanza di coesione tra l’intensità dello stesso racconto e l’apparato maldestro degli effetti speciali che qui brulicano tra sfrenata estetica video ludica e direct-to-video in via d’estinzione. È proprio una questione di direzione, di ciò che non si vede.

 

 

Vacanza in Messico. Siamo in spiaggia, spring break. Ragazzi e ragazze bevono e ballano in spiaggia, alcol a fiumi. Esagerano, ma è il prezzo della libertà, baby. Un uomo avverte che c’è un pericolo là nel mare; ha le gambe mozzate, è successo qualcosa tempo fa. Ma la libertà è avida e si corre al suo cospetto con pose, selfie, finti sorrisi e due moto d’acqua luccicanti, pronte da rubare per una corsa mozzafiato che, come nel più ardito dei meme, finisce prevedibilmente male. Anzi malissimo perché c’è un ferito grave con la gamba maciullata che perde sangue. E le moto sono mezze che andate. E i sei cervelli in fuga sono distanti dalla riva. C’è il mare. E c’è lo squalo. Per quanto Shark Bait si sforzi di essere quel che non è, ossia un gioco che si prende troppo sul serio strutturato intorno a quei limiti che lo spingono nei pressi del teenmovie slasher dalle dinamiche survival, in fondo non è altro che un gioco ruffiano che si prende gioco dello spettatore. Eppure l’elemento romantico avrebbe potuto sbilanciare la vicenda in un altrove più curioso, come si intuisce nella brutta ma efficace sequenza notturna oppure nel brutto prefinale quando il sacrificio entra in scena. Ma la scemenza dilaga e non basta il riscatto conclusivo femminile, grandioso specchio per le allodole che, probabilmente, si compiacciono ed esultano per tale rivincita.