SIC37 – Lo sguardo asciutto di Eismayer di David Wagner

Il titolo del film, Eismayer, è anche il cognome del protagonista, che di nome si chiama Charles. Sergente maggiore e temuto istruttore di reclute per i metodi, verbali e fisici, brutali, che anche i suoi superiori condannano (sono ormai fuori dal tempo, gli dice un collega che lo ha chiamato a rapporto – e infatti il clima del film sembra quello di un Full Metal Jacket e il personaggio trovare riferimento nel cinema d’ambientazione militare di decenni trascorsi). Set principale, la caserma dove all’inizio arrivano le nuove reclute – tra cui Mario Falak, di origine bosniaca e, ci vorrà poco perché tutti lo scoprano, gay – e che per Eismayer è la sua “casa” e dove può esercitare il suo potere su chi è più debole. Ma quell’uomo ha una “doppia identità”. Sposato e padre di un bambino, di notte va a uomini reprimendo però pubblicamente la propria omosessualità. Fin quando l’arrivo di Falak (chiamarsi per cognome fa parte dei “rituali” dell’ambiente militare) cambia tutto. E avvia un inevitabile e classico scontro iniziale fra i due che si trasforma in seduzione e attrazione, liberandosi in un bacio e infine in sesso e in una dichiarazione d’amore. E nella rottura del matrimonio dopo il dialogo in un parco tra Eismayer e la moglie dove lui le confessa di essere sempre stato gay, lasciandola basita. Opera prima (presentata in concorso alla Settimana della critica di Venezia) di David Wagner, quarantenne regista austriaco, Eismayer è attraversato da uno sguardo filmico asciutto, teso e terso, quasi documentaristico, carico di ellissi, grazie al quale rendere credibili le tante situazioni che accadono nel corso dei mesi, i “colpi di scena” collocati con precisione (anche la malattia che colpisce il sergente e dalla quale guarirà) in un lavoro rigoroso abitato dalla centralità dei corpi (ottimo il cast, a partire da Gerhard Liebmann, attore austriaco dalla lunga filmografia cinematografica e soprattutto televisiva, nel ruolo di Eismayer e Luka Dimic, nato a Sarajevo, di famiglia serbo-croata e trasferitosi in Germania fuggendo dalla guerra nella ex Jugoslavia, in quello di Falak) nella loro moltitudine di espressioni e emozioni.

 

 

Un film che di-segna il passaggio dal reprimersi all’esprimersi nell’evoluzione del personaggio principale, duro anche con se stesso mentre vive la sua vita negli spazi della caserma, che si sfoga masturbandosi sotto la doccia, per gradualmente trovare una propria dimensione di accettazione, un respiro, un sorriso. Di fronte a tutti. Fino a un lieto fine in stile hollywoodiano ma anche qui “prosciugato”, essenziale. Un gesto di coraggio, visto il contesto, quello dell’esercito, che porterà Eismayer e Falak a sposarsi. Nel film ciò rimane fuori campo, viene consegnato alle didascalie finali. Perché questa storia d’amore è realmente accaduta e i veri Charles Eismayer e Mario Falak (che si vedono in fotografia accanto alle didascalie) si unirono in matrimonio nel 2014 in caserma continuando negli anni a prestare il loro servizio nell’esercito. A contribuire allo sguardo che si esprime per sottrazione, ecco le immagini, che punteggiano il testo quasi come una sorta di intervalli, rivelandosi nel loro senso alla fine, e evocanti memorie tarkovskiane, di un edificio diroccato e invaso dalla vegetazione, senza tetto, in mezzo a un bosco, nel corso di varie stagioni, che “osserva” i fatti e sintetizza il percorso creativo adottato da Wagner.