Su MUBI Please Baby Please, la favola distopica e lunare di Amanda Kramer

Suze (Andrea Riseborough) e Arthur (Harry Melling) sono una giovane coppia di sposi. Il loro è un matrimonio apparentemente solido, fondato su una grande complicità, anche se piuttosto tiepido sul piano intimo. Un giorno i due assistono a un omicidio efferato e gratuito al rientro a casa, in un condominio degradato newyorchese. Cominciano così a vacillare tutte le certezze della rassicurante narrazione borghese e perbenista a cui avevano creduto sino ad allora. E si risvegliano in loro desideri a lungo sopiti. Please Baby Please (2022) di Amanda Kramer, disponibile su MUBI a partire da venerdì 31 marzo, è una favola distopica e lunare che prende vita tra le strade malfamate di una New York anni ’50 molto dark, psichedelica e malavitosa.

 

 

Sono tanti gli elementi iconografici a cui attinge Kramer per confezionare un film che trascende i confini dei generi, contaminando registri e forme diverse. C’è innanzitutto un espressionismo crepuscolare alla Querelle de Brest (1982) di Fassbinder. Ma anche l’attrito tra bellezza e violenza, sublime e orrore, di Arancia meccanica (1971) di Kubrick. E ancora, si strizza spesso l’occhio alle immagini estetizzanti del cinema di Bertrand Mandico che, come in Please Baby Please, virano spesso verso il blu o il viola fluo di cieli rarefatti. I rischi di citazionismo e di una smania accumulatoria di riferimenti ci sono: ma il film ha un suo ritmo sensuale, tempi ben calibrati e personaggi per lo più azzeccati e convincenti.

 

 

A partire dal cameo di lusso di Demi Moore (Maureen), ricca celebrità del quartiere che in poche scene lascia il segno di una figura indolente, fuori dagli schemi ed estremamente seducente. Passando per i protagonisti, Andrea Riseborough e Harry Melling (i più lo ricorderanno come Harry ne La regina degli scacchi o Dudley Dursley, il cugino-bullo di Harry Potter nella serie cinematografica): nevrotica, ossessiva e frustrata la prima; curioso, goffo e altrettanto frustrato il secondo. La miccia che fa detonare gli assetti matrimoniali dei due è Teddy (Karl Glusman), capobanda spietato di una gang criminale, che è attratto (e ricambiato) dal represso Arthur. Quest’ultimo non esita a imbarcarsi in un gioco pericoloso di seduzione, in cui nessuno sarà più al sicuro. La moglie, dal canto suo, oscilla tra un’attrazione/repulsione per lo stesso Teddy, un’esasperazione per le azioni criminose che infestano la città, e una presa di consapevolezza dei propri desideri, alimentati anche dall’epifania di Maureen, sua vicina di casa.

 

 

Amanda Kramer, già nota per Give me Pity! (2022) e Ladyworld (2018) centra il bersaglio con una favola perversa sulla costruzione identitaria, sulle ansie matrimoniali della borghesia e sul potenziale sovversivo e liberatorio di configurazioni alternative dell’“io” e di affiliazioni inedite con l’“altro”. Forse si poteva osare un po’ di più nella rappresentazione del sesso: per essere un film tutto giocato sull’esplosione di un desiderio queer, è curioso che non ci siano praticamente scene di sesso. Questo rende la temperatura di tutta la narrazione un po’ tiepida, ma capace comunque di restituire momenti di grande fascino visivo e ambiguità.