Su Netflix L’ultimo Paradiso di Rocco Ricciardulli: amore e ribellione in un sud torbido e onirico

Continua il percorso da produttore di Riccardo Scamarcio con L’ultimo Paradiso, approdato su Netflix all’inizio di febbraio, dove l’attore pugliese è anche protagonista e co-autore della sceneggiatura insieme al regista di origini lucane Rocco Ricciardulli, qui al suo secondo lungometraggio dopo Suddenly Komir (2016). Ambientato nei pressi di un piccolo borgo nelle campagne pugliesi degli anni Cinquanta, il film pone al centro la difficile condizione dei contadini sfruttati e sottopagati dai malavitosi proprietari terrieri, che si avvalgono della connivenza delle guardie locali. Quello che viene messo in scena è il Sud più arretrato in cui è impossibile emanciparsi, fondato sulla supremazia dei ricchi sui poveri, dell’uomo sulla donna, considerata alla stregua di una proprietà e di un oggetto di piacere, priva di qualsiasi facoltà di scelta. Ciccio Paradiso è un giovane contadino, dongiovanni dallo spirito focoso e ribelle che non vuole più sottostare alle leggi dei potenti e per questo fomenta una rivolta attirando su di sé e sulla sua famiglia le ire di Cumpà Schettino (Antonio Gerardi), il viscido latifondista per il quale lavora e che abusa delle sue giovani dipendenti. A complicare le cose è il fatto che Ciccio, già marito e padre, amoreggia segretamente con la figlia di Schettino, Bianca (Gaia Bermani Amaral), e i due sognano di scappare insieme un giorno verso un futuro migliore, magari nella bella Parigi; la situazione è ovviamente ad alto tasso di rischio, anche se la passione supera ogni paura. Le tragiche ripercussioni di questo amore segreto infatti non tardano a manifestarsi, arrivando quasi anzitempo, a metà film, ma è tutto uno stratagemma per assicurare la presenza di Scamarcio fino alla fine e permettergli lo sdoppiamento nel ruolo di Antonio Paradiso, fratello di Ciccio, emigrato anni prima nel ricco e industrializzato Nord, a Trieste, e di ritorno ora nella sua terra d’origine.

 

 

Nonostante il materiale di partenza tratto da un reale fatto di cronaca avvenuto nelle campagne lucane sia ricco di spunti, L’ultimo Paradiso – nel cui titolo sta anche una doppia interpretazione – non si addentra mai in un racconto dai risvolti sociali per problematizzare la situazione dello sfruttamento dei braccianti e intraprendere un discorso approfondito attorno al tema della ribellione e della lotta all’ingiustizia. Complice di questo una scrittura che appare frettolosa, che soffre della mancanza di introspezione psicologica dei personaggi e di empatia, puntando piuttosto su scenografia e ambientazione. Lasciato presto il dramma storico-sociale a fare da sfondo, il fulcro è la storia d’amore tra i due protagonisti, ma anche qui scrittura e recitazione non aggiungono nulla al comparto delle emozioni, appiattendo tutto sul piano della descrizione. Fino al drastico e inaspettato cambio di rotta del finale che vuole essere enigmatico e simbolico, in bilico tra le dimensioni del reale e dell’onirico e che, seppur confuso, resta forse il momento più apprezzabile dell’intero film.