Supereroi in cerca d’autore: Zack Snyder’s Justice League

“Rimontare questo film è una cosa più unica che rara nella storia del cinema. Non credo che ci sia un altro film con altrettante riprese non utilizzate”. La frase, del 2006, è del montatore e produttore Michael Thau, in riferimento al lavoro svolto per rimettere insieme Superman II nella versione originale di Richard Donner, e si adatta molto bene anche al caso Justice League. Prima di qualsiasi altra considerazione sulla specifica operazione, è in effetti curioso notare il preciso ricorso storico che ha portato due kolossal con lo stesso supereroe a vedersi contesi fra un autore originale e un regista poi subentrato in corso d’opera e che del film finale ha cambiato il tono e la sostanza. Lì erano Richard Donner contro Richard Lester, qui Zack Snyder contro Joss Whedon. Il ritratto che ne emerge sembra insomma quello di una Warner Bros decisamente scontenta nel vedere il proprio brand rapportato troppo da vicino alla paternità di un singolo artefice. Il che descrive esattamente il cuore del problema: il controllo sulla proprietà e la volontà di ricondurre la stessa alla forza dello Studio, secondo il caso unico e invidiato dei Marvel Studios. Una realtà che è riuscita da sola ad arrogare a sé ogni merito del proprio universo filmico, scaricando magari alla bisogna i difetti sui singoli autori. Se quindi ogni Avengers è prima di tutto “un film Marvel” piuttosto che del suo regista, si può comprendere la voglia di strappare il DCEU dalle mani di uno Zack Snyder reo di imporre una visione troppo radicale rispetto a un concept che fin dall’inizio è apparso in affanno nel voler inseguire il successo della concorrenza. La questione è poi ulteriormente amplificata dal fandom che, mai come nell’era di internet, ci tiene a far sentire la propria voce, rivendica il diritto di essere parte in causa a suon di hashtag e video virali e affonda con forza le mani in questa materia di cui ognuno vuole essere padrone.

 

 

Come possiamo notare dai ricorsi, le dinamiche dello Studio System tendono insomma a rinnovarsi nei decenni sul terreno di scontro rappresentato proprio dai film-fumetto. Soprattutto, è interessante che, nel caso di Justice League, tutta questa strategia si articoli su una pellicola che, di fatto, è proprio una lunga trattazione sul concetto di autorità e paternità. Ora che possiamo vederlo nella sua versione completa e affine alla trattazione già affrontata da Snyder nei precedenti L’uomo d’acciaio e Batman V Superman: Dawn of Justice, il “nuovo” Justice League si offre quale capitolo finale (sebbene non conclusivo) di un rapporto irrisolto fra il potere e i suoi padri. Nella pellicola di partenza, Superman doveva accettare il proprio ruolo nel percorso stretto fra un padre biologico che lo voleva investire della capacità di guidare l’umanità a “compiere meraviglie” e un padre adottivo che invece lo spingeva a nascondere le sue facoltà, arrivando a farsi negare assistenza in punto di morte perché gli altri “non avrebbero capito”. L’intera epopea di Batman è segnata dalla morte dei genitori, con la lotta con Superman “sbloccata” e risolta dalla pronuncia del nome della madre – quello snyderiano è soprattutto un universo di padri, ma le donne sono comunque le uniche a offrire possibilità di salvezza e la frase “puoi essere ciò che vuoi” non a caso è qui affidata a Wonder Woman.

 

 

Ora altri eroi si aggiungono al mosaico: c’è Aquaman che non vuole il potere e la responsabilità derivategli dal lignaggio; c’è Flash che deve salvare il padre incarcerato ingiustamente; e c’è soprattutto Cyborg – il personaggio che più si avvantaggia delle scene reinserite – che nel nuovo aspetto robotico, forte di maledizione, ma anche del passaggio a un livello superiore, trova proprio la risoluzione di un rapporto irrisolto con quel padre scienziato da sempre troppo assente e che ora ha iscritto invece la sua presenza sul dono di quel corpo ipertecnologico. Tutto il film si articola su questa dicotomia, sull’oscillazione tra opposizione e compiacimento nei confronti di un destino fissato dall’alto, su uno status divino che deve scegliere se elevarsi nel cielo o scendere nei problemi della terra degli umani. Così, anche riunire la squadra dei supereroi diventa faccenda di scontrarsi contro nemici tra cui pure vige sempre il rapporto di subalternità: si pensi a Steppenwolf, sorta di “figliol prodigo” che vuole conquistare la Terra per compiacere il suo Signore Darkseid, riguadagnando così la fiducia persa tempo addietro, quando aveva provato invece a seguire la propria volontà. Snyder serve questo materiale con una struttura lineare nella forma e ben distesa su una lunghezza-monstre di quattro ore, comunque funzionale al respiro che intende dare alla storia, in esatta opposizione al precedente Batman V Superman, che appariva invece “stretto” nella sua durata. Lo fa con un piglio visionario che riprende esattamente l’estetica da tableau vivant forgiata nelle imprese muscolari del suo più famoso 300, dando vita a un’epica che si prende abbastanza sul serio, ribadendo in questo modo la “sua” paternità su un cinecomic che non assomiglia volutamente a nulla di quanto proposto dalla concorrenza.

 

Un’opera sfacciatamente autoriale, quasi monocromatica nella desautorazione dei colori – in America proposta anche direttamente in bianco e nero – e per questo distante dai cromatismi pop tipici del genere, dove le figure si muovono ieratiche, esaltate da un uso “estensivo” del ralenti. Anche lui, insomma, gioca per il controllo su questo universo garantitogli dal più classico “nome sopra il titolo”, tanto per tornare alle dinamiche fra autore e Studio. Ma, ed è l’aspetto davvero più pregnante del tutto, colpisce anche e soprattutto per ciò che insinua: come quella materia oscura che continua ad avvolgere Superman e che non a caso, nel finale girato ex novo e anticipatore dei sequel, presagisce un futuro in cui sarà lui, padre dei supereroi, l’ostacolo ultimo da superare. Una storia che forse non vedremo mai, considerato come questa Snyder Cut sia stata il frutto di circostanze eccezionali, principalmente la disponibilità di un contenuto esclusivo da offrire alla piattaforma HBO Max (in Italia su Sky) nella guerra dello streaming. Un po’ come Superman II: The Richard Donner Cut trovò campo aperto nell’home video. La battaglia del potere, insomma, cambia forma ma si rinnova sempre, così come l’hashtag #ReleasetheSynderCut nel frattempo si è già tramutato in #RestoreTheSnyderVerse per far proseguire la storia.