Takeaway di Renzo Carbonera, l’ultima volta di Libero De Rienzo

Maria (Carlotta Antonelli) macina kilometri sulle salite del Terminillo. È una marciatrice determinata a tornare in gara. Johnny (Libero De Rienzo), il suo compagno e allenatore, inizialmente sembra recalcitrante («Ti accompagno, ma noi con le gare abbiamo chiuso», risponde alla proposta di provare una 2×10 km), ma poi cambia idea: «Io ci sto, però facciamo a modo mio». Il suo modo è quello poco ortodosso delle sostanze dopanti, per cui è stato squalificato a vita nove anni prima tanto da non potersi nemmeno avvicinare a un campo di atletica quando c’è una gara. Con la complicità di un losco chimico (Camillo Grassi), «un gioielliere in farmacia», Maria lo segue, con il consenso dei genitori – il padre (Paolo Calabresi) entuasiasta e la madre (Anna Ferruzzo) dubbiosa – che pagano profumatamente le sostanze che Johnny le inietta e le pasticche che ingerisce. L’incontro con Marco (Primo Reggiani), ex atleta oggi imbianchino, i cui sogni di gloria – ovvero la partecipazione alle Olimpiadi di Atlanta -, si sono infranti dopo aver incontrato Johnny «e le sue tecniche dell’Est», rimescolerà le carte. Opera seconda di Renzo Carbonera, Takeaway (nome del bar/stazione di benzina gestito in mezzo al nulla da Johnny, ma fa anche riferimento al servizio di droghe da asporto a cui ricorre l’allenatore) è un prodotto anomalo nel panorama italiano. Crudo nel mostrare gli effetti delle droghe sul fisico di Maria, cupo nelle atmosfere nebbiose di una montagna sempre più disabitata, per nulla consolatorio, squarcia il velo di silenzio che copre lo sport non professionistico (la didascalia finale rivela che la WADA, l’agenzia internazionale antidoping, stima che tra il 20% e il 24 % degli atleti non professionisti faccia regolarmente uso di sostanze dopanti senza alcun controllo medico) e parla senza retorica alcuna di doping.

 

 

Con brevi accenni allarga in realtà il campo per parlare di una società che non vuole vedere (il padre non si pone troppi problemi sullo stato di salute della figlia salvo, forse, rimanere senza parole quando apre il frigo in cerca di un limone e si trova davanti scatole di farmaci e provette di sangue), perché a tutti i livelli si fa ricorso massiccio a pillole per migliorare le proprie prestazioni o anche solo per tirare avanti (la madre di Maria da anni assume benzodiazepine poi sostituite da miracolose pillole azzurre fornite da Johnny che le danno un sacco di energia, due giovani atlete in bagno si scambiano di nascosto pillole…). Solo nei sogni, o nelle allucinazioni, le cose sembrano andare per il verso giusto come dimostra la struggente sequenza onirica del ballo di Johnny e a Maria sulle note di La notte di Adamo perché in un mondo in cui «esiste solo una morale, il podio, la medaglia» tutti i ruoli vengono messi in discussione: gli allenatori non possono essere dei padri quando gli stessi genitori sono i primi a comprare le sostanze dopanti, le atlete accettano di rimanere incinta 2-3 mesi prima di una gara per avere botte di ormoni gratuite. Come dice Marco, sorta di grillo parlante del racconto, per vincere «facciamo tutto quello che ci dicono gli altri». Carbonera dirige con mano sapiente muovendosi in un ambiente che sembra conoscere molto bene e che riesce a rendere metafisico. Ottimi tutti gli interpreti. Resta il rammarico di vedere recitare per l’ultima volta Libero de Rienzo, a cui il film è dedicato, immenso con quello sguardo che sa essere sperduto ma anche spietato, con il fisico imbolsito da ex atleta che ritrova tutta la sua potenza nell’esplosione di rabbia contro Marco, la promessa che ha allenato e rovinato. In quella sequenza fa pensare a Chris Penn, un altro grandissimo attore che ci ha lasciato troppo presto.