Trieste Film Festival – Metronom di Alexandru Belc: la gioventù che guarda in avanti

In un film sospeso come questo, tutto costruito intorno a fratture e separazioni, vuoti angoscianti da colmare, chiusure e timori futuri, in cui l’ordine degli eventi sembra seguire il binario dell’inevitabile e il domani quello della tragedia della solitudine, risulta decisivo fissare lo sguardo su quel momento della festa in cui il tempo sembra che stia rallentando al punto da non procedere più in avanti, abbandonando la sua direzione orizzontale e virando verso le discese verticali. Si tratta di un momento collocato in prossimità della metà del film, una cerniera riconoscibile dall’uso quasi impercettibile di un tenue ralenty, uno spazio invisibile che riflette un segno e una condizione: Ana danza guardandosi intorno, cercando gli sguardi delle sue amicizie, in attesa di essere raggiunta dal suo fidanzato in procinto di trasferirsi a Parigi, consapevole che qualcosa stia realmente cambiando davanti a lei e che nulla, d’ora in poi, sarà più come prima. In questo breve istante Metronom, il primo lungometraggio di finzione del documentarista rumeno Alexandru Belc, cambia forma e direzione trasformandosi da racconto immerso nel passato (la vicenda si svolge nell’autunno del 1972, a Bucarest, in pieno regime Ceaușescu) a rilettura di un presente, quello della Romania dei giovani di oggi, ancora alla ricerca di una forte identità e, soprattutto, a romanzo di formazione sentimentale.

 

 

Il nucleo della storia d’amore tra Ana e Sorin è il legame tra affetto e dolore, tra donare e lasciare andare e per tale ragione è messa in scena da Belc non solo come rappresentazione del forte desiderio di libertà che avvolge la gioventù, espresso chiaramente dalla cultura e dal movimento hippy e proprio dal Metronom, il programma radiofonico di Cornel Chiriac condotto quasi clandestinamente su Radio Free Europe, ma pure come luogo ideale per immaginare un mondo diverso, teso verso un futuro tutto da scrivere e raccontare, in cui credere e sperare, per il quale esporsi e assumersi le proprie responsabilità. Dentro questa parentesi emotiva in cui Ana matura non solo un sentimento ma anche una precisa posizione politica, uno spazio di solitudine, di lacrime, carne e sangue, il film di Belc fotografa così l’adolescenza come terra di mezzo costretta a fare i conti con le asprezze del crescere in questo caso rappresentate in una seconda parte concentrata a restituire il sentimento di oppressione e volgare controllo operato dalla Securitate con i suoi beceri metodi volti a spegnere qualsiasi nuovo entusiasmo nascente.

 

 

Pur non essendo tutto in equilibrio, anche a causa di una rigida linea di demarcazione tra le parti del discorso, Metronom si colloca nel panorama del cinema europeo come l’ennesimo prodotto proveniente dalla nuova ondata di cineasti rumeni capace di restituire una vivacità e una profondità di sguardo di rara intensità.