Su MioCinema il tempo interiore scandito in Le sorelle Macaluso di Emma Dante

Una volta un amico raccontò a Emma Dante che sua nonna, nel delirio notturno della malattia, chiese urlando alla figlia: «In definitiva io sugnu viva o morta?»; la figlia rispose: «Viva! Sei viva mamma!»; la madre, a sua volta, sardonica: «See viva! Avi ca sugnu morta e ‘un mi dicìti niente p’un fàrimi scantàri[sì, viva! Io sono morta da un pezzo e voi non me lo dite per non spaventarmi]». Da questo spunto la drammaturga e regista palermitana trasse ispirazione per la pièce Le sorelle Macaluso, andata in scena per la prima volta al Teatro Mercadante di Napoli nel gennaio del 2014 e vincitrice dei premi UBU 2014 per migliore spettacolo dell’anno e migliore regia. Veridicità del racconto dell’origine a parte, l’aneddoto contiene tutti gli elementi cardinali dell’immaginario della Dante, o meglio le metafore ossessive che compongono il mito personale su cui si fondano testi e regie fin dall’inizio della sua carriera: lo spazio domestico come universo esclusivo e contenitore simbolico, le relazioni di sangue, la morte, Palermo.

 

 

Nel 2019 la Dante, insieme a Elena Stancanelli e Giorgio Vasta hanno ricavato dalla pièce la sceneggiatura di un film, presentato in concorso alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Nel passaggio dal teatro allo schermo sono cambiate molte cose. Le sorelle protagoniste da 7 (come i vizi, i nani, le spose, i samurai ecc.) sono diventate 5 (come i sensi, le dita di una mano, le righe del pentagramma, i pezzi facili, i volti dell’assassino ecc.); alcuni personaggi (la madre e il padre) sono stati eliminati. Lo spazio smaterializzato del palcoscenico vuoto con pochissimi oggetti e costumi è stato riempito di location in interni (l’appartamento palermitano delle sorelle) ed esterni (la spiaggia dell’Antico Stabilimento Balneare di Mondello, conosciuto come Charleston) ricolme di oggetti, costumi e personaggi di sfondo, umani (i bagnanti) e animali (i colombi bianchi allevati dalle sorelle e usati per le cerimonie nuziali, oltre che simboli di purezza, pace, fedeltà e manifestazioni dello Spirito Santo): insomma l’illusione referenziale del cinema, modernamente linguaggio della realtà, ha preso il sopravvento sull’impulso derealizzante del teatro contemporaneo. Il tempo interiore e perciò pulviscolare, frastagliato, proliferante, lacunoso, ridondante della pièce è stato linearizzato e scandito in tre atti, ciascuno corrispondente a una fase della vita (giovinezza, età adulta, vecchiaia) e contrassegnato da un lutto, con la sola perturbazione derivante dai flashback sulla morte della più piccola delle sorelle, trauma le cui ragioni sono spiegate per intero solo alla fine. Il dialetto palermitano, pastoso, musicale, a tratti aspro, viene rimpiazzato da un italiano medio adatto a tutte le orecchie. Le musiche tra il jazz e il folklore (di autore ignoto) della pièce sono state sostituite da una colonna sonora in cui spiccano per eccesso di didascalismo banalizzante le Gymnopédie di Eric Satie, le voci di Gerardina Trovato, Franco Battiato (ascoltiamo Inverno per intero) e Gianna Nannini (Meravigliosa creatura, di nuovo per intero), a svelare che la Dante, conscia di essere irresistibile quanto al suo lavoro sui corpi e sui movimenti degli attori, non si fida ancora abbastanza delle immagini. Ad aumentare il disagio prodotto da spiegazioni poco necessarie e da evocazioni di connotazioni a buon mercato sopraggiungono anche letture di brani da Anna Maria Ortese, Oriana Fallaci, Fëdor Dostoevskij ecc. E pensare che la storia è potente, le attrici (dodici, cinque nel primo atto, quattro nel secondo, tre nel terzo) tutte straordinarie, la fotografia di Gherardo Gossi intensa (penso soprattutto alle scene acquatiche), il montaggio di Benni Atria suggestivo (le transizioni temporali sono tutte centrate). Quando Emma Dante rivoluzionaria del teatro avrà trovato Emma Dante rivoluzionaria del cinema, mettendo da parte trasposizioni e antidoti a un evidente complesso di superiorità nei confronti del pubblico cinematografico, certamente ne vedremo delle belle.