Una ballad per gli ultimi: Nomadland di Chloé Zhao

«Mamma dice che sei una homeless», osserva una ragazzina al supermercato. «No, direi più che sono una houseless» replica sicura Fern, Frances McDormand. Fern, la protagonista di Nomadland di Chloé Zhao, non si considera senza home, ma piuttosto senza house. Per gli anglosassoni la differenza è abissale. Fern non è sprovvista di un proprio “nido”, in cui rifugiarsi, trovare riparo e tentare di proteggersi dal freddo, ma di una casa fissa, quattro mura e un tetto. Allo stesso tempo, vive sulla strada, ma non in strada. La sua home è un furgoncino allestito a camper, dove Fern cucina, dorme, usa un grosso secchio come cesso. L’ultimo barlume di dignità è anche una scelta di vita, in spregio alle regole e alle gabbie della società capitalista. Il film vincitore del Leone d’oro è una potente, destabilizzante, oltre che poetica, radiografia dei nuovi poveri d’America. Dei loro bivacchi, dei loro van tramutati in piccole case viaggianti, delle loro amicizie alla luce dei falò. Della scomodità e del pericolo non barattabili con il presunto agio, con la schiavitù alle imposizioni sociali o l’assenza di libertà. Fern è povera, ma non certo in spirito. C’è qualcosa di estremamente steinbeckiano, johnfordiano e brucespringsteeniano nel racconto lirico, sinuoso, sentito e poetico di Zhao. Come già The Rider il sentore western e il racconto degli “ultimi” sono la vera anima del film. Una sorta di ballad dedicata ad alcune figure on the road.

 

 

Stavolta, a differenza dell’opera precedente, la regista indugia un po’ troppo in sottolineature e ripetizioni (come l’accompagnamento musicale di pianoforte che segue le soggettive e l’ideale flusso di coscienza di Fern). Eppure il finale, in cui vediamo finalmente il retro della casa, in cui viveva la donna prima di perdere marito, lavoro, dimora, rivela l’amore per la bellezza e la natura d’America. La sola valvola di ossigeno e salvezza nell’arida epoca contemporanea (per dirla con John Murry, questa Graceless Age). Frances McDormand, il volto scavato dalla vita, lo sguardo guizzante non imprigionabile in interni borghesi è in costante movimento. Protagonista assoluta di un racconto on the road per immagini, parole e sguardi. McDormand è straordinaria nel dare volto e corpo (smagrito) a Fern, vedova, disoccupata, senza un vero tetto. È sempre in movimento, sempre mobile, gipsy, corpo nomade, nervoso, tragicomico. In uno sguardo può racchiudere il mondo, la tragedia o la bellezza di una vita.