Dune, la “spezia” negli occhi di Denis Villeneuve

Lo si poteva prevedere che il fascino principale, sotto il profilo filmico, di questo Dune di Denis Villeneuve dovesse risiedere nell’abbraccio tra l’immaginario così immateriale di Frank Herbert, fatto di sabbia, di spirito, di voci, e quello così solido del regista canadese, fatto di forme tetragone, monumentali, immanenti. Da una parte c’è un caposaldo della fantascienza avventizia che, scaturito a metà degli anni Sessanta, ha influenzato la letteratura e il cinema fantascientifici degli anni a venire, spingendoli sulla strada di una reincarnazione fantastica della tradizione letteraria dei cicli e trovando un perfetto contraltare nella palingenesi posta in opera da Kubrick e Clarke con la loro Odissea. Dall’altra c’è un regista che negli ultimi anni sta dando vita a un corpus fantascientifico che, tra Arrival, Blade Runner 2049 e ora Dune, si basa proprio su un approccio per così dire messianico alle visioni futuribili, protese verso un tempo rinnovato dell’avvento, ma lo fa insistendo su un cinema che propone strutture visive pesanti, occupate da forme cubitali, possenti anche quando, come nel caso delle astronavi di Arrival, sono affusolate. Coerentemente con tutto il suo cinema, insomma, la fantascienza di Villeneuve visualizza il dialogo tra l’incombenza delle forme e l’immanenza degli esseri, tra i mondi occupati e gli spiriti in cerca di libertà e di nuova vita. E allora ci si trova di fronte a questo nuovo Dune, prima parte di un dittico che riporta sullo schermo il primo libro della saga herbertiana (la seconda è ora in preproduzione) a quasi quarant’anni dal magnifico sforzo lynchano, sfortunato produttivamente all’epoca, ma invecchiato molto bene. Tanto Lynch aveva fatto un film di astrazioni visionarie macchinose quasi mélièsiane, di vapori e fluidi e sonorità e aria e leggerezza, un’opera aerea e immaginifica… tanto Villeneuve fa un film solido, quassi opaco nella sua definizione visuale, occupato interamente da un immaginario materico, aderente all’articolazione di una saga che attinge alle tematiche classiche dei cicli letterari: questione di imperi stellari, di casate che governano pianeti, di discendenze nate col destino del comando, di amori e tradimenti, di popoli in attesa di un nuovo inizio…

 

 

Paul Atreides ha l’efebica presenza di Timothée Chalamet, che è una bella soluzione di casting proprio perché punta sul suo carisma esile e inatteso per risolvere l’enigma di un personaggio che nasce ignoto a se stesso: il suo destino finale è quello di essere il liberatore del popolo dei Fremen, gli indigeni del pianeta Arrakis e i custodi della sua preziosa “spezia”, tenuti in soggezione dai crudeli Harkonnen. Ma il suo destino immediato è quello di farsi carico sia del sangue degli Atreides, dando seguito alla stirpe del padre, il duca Leto (Oscar Isaac), sia del sangue materno, e dunque della genìa delle potentissime sacerdotesse del Bene Gasserit, che preparano l’avvento di un uomo destinato a portare pace e armonia nell’universo. Lo scenario complessivo ha una caratura sontuosa, più vicina all’epica che alla velocità spettacolare dei blockbuster: Villeneuve non è certo regista agile, il suo è un cinema che occupa ogni spazio visivo e narrativo con una tensione speculativa e introspettiva molto netta. Il suo Dune dunque dialoga sulla linea orizzontale di una tensione visionaria sospesa tra la luminosità abbacinante del deserto e gli interni introflessi nel buio. Lo stesso deserto di Arrakis, con le sue dune, il caldo soffocante e i vermi della sabbia, si offre come uno spazio sterminato che però diventa occlusivo proprio perché trattiene l’eroe e lo domina. Manca persino la linea di fuga lisergica, la spinta offerta dai sogni e dalle visioni e premonizioni di Paul Atreides, che Villeneuve contiene in una sfera introflessa, senza mai liberarla davvero in una apertura immaginaria capace di liberare il film. Resta un dato di fatto: l’attesa per Dune che finisce qui a Venezia 78, dove il film è presentato fuori concorso in prima mondiale, in realtà non è finita: ora inizia quella per l’avvento di Dune 2