Un altro mondo possibile: Mona Lisa and the Blood Moon, di Ana Lily Amirpour

È un’altra Girl Walks Alone at Night quella su cui ritorna Ana Lily Amirpour dopo la deviazione postatomica di The Bad Batch e ancora una volta finisce per tarare il tono di un film che si offre secondo una cifra più psichedelica rispetto alle raffinatezze monocromatiche dell’esordio: lei è Mona Lisa, evasa da un’ospedale psichiatrico grazie ai suoi poteri psichici che le permettono di condizionare/controllare/ipnotizzare cose e persone. Vagando per le notti di una New Orleans al neon, tra un’umanità borderline in cui gli equilibri sociali appaiono rovesciati (spacciatori e prostitute sono i veri “eroi” di quel mondo nascosto), finisce così per trovare asilo a casa di Bonnie Bale, pole dancer con figlioletto a carico, che la ospiterà e al contempo ne userà le capacità per raggranellare quel denaro necessario a sollevarla dalla sua condizione economica infelice. Il cuore nel frattempo è altrove, è in questo mondo rutilante affrontato dallo sguardo perennemente serio e un po’ imbronciato di una Mona Lisa cui dà forma e sostanza Jeon Jong-seo, anche lei rovesciata rispetto al suo più celebre ruolo di Burning. Lì espressione di una delicatezza truffautiana, qui figura enigmatica, de-fisicizzata sin dal prologo in camicia di forza, avvolta in t-shirt troppo grandi e che però può agire sui corpi di chi le si oppone, sulla materia concreta delle cose.

 

 

Un po’ come fa questo film nel suo rapporto con un mondo sovrastrutturato, un postatomico in divenire che non sfigurerebbe in certe opere australiane (pensiamo a Drive in 2000 di Brian Trenchard-Smith), in cui il rapporto con la città ha una densità degna di un film blaxploitation, per la forza iconografica degli elementi che la compongono (interni in pelle delle auto, graffiti sui muri, vomito sulle strade, sangue sui pavimenti, luci abbaglianti nei locali). Ma anche per l’uso espressivo della strepitosa colonna sonora di Daniele Luppi, che remixa brani d’epoca (c’è persino Shooting Star, sigla di coda di Goldrake) a sonorità elettroniche in una bizzarra fusione di vintage e avanguardia, perfetta per riassumere i dualismi del film: un po’ thriller simil blaxploitation in cui far agire una protagonista asiatica, un po’ film-palcoscenico per una metropoli che si è lasciata alle spalle gli umori voodoo, ma senza averne idealmente abbandonato la cifra più misteriosa. Nel breve scarto che si viene così a instaurare fra questo mondo così esteriore e la sostanza più intima dei protagonisti, il film cerca il suo baricentro. Che è quello di un altro mondo possibile e che si è lasciato alle spalle le categorizzazioni, dove le famiglie e le realtà disfunzionali riescono a formare dei nuclei tutto sommato solidi, mentre la polizia vaga incerta con biscotti della fortuna che invitano a dimenticare ciò che si sa. In questo scenario, Mona Lisa è tanto l’ultima dei normali quanto la prima degli speciali, l’ingranaggio impazzito che, nel riscrivere le regole del mondo, tutto sommato ossequia quella realtà “di sotto” che l’ha accolta, sfruttata ma nel contempo integrata nel micro-nucleo formato insieme a Bonnie e a suo figlio Charlie (la rivelazione Evan Whitten).

 

 

Il film articola così la sua dialettica fuori/dentro sul rapporto fra il corpo e le umanissime aspirazioni, tra la fisicità prorompente di Bonnie (un’ottima Kate Hudson) e i suoi sogni di gloria, quelli di una donna che sembra aver chiare le idee su come sfruttare la situazione a suo vantaggio, ma che ne resterà in ultima istanza vittima. Sarà invece Charlie a prendere in mano il destino della storia, creando un legame solido eppure breve, fulmineo, fragile nella durata con Mona Lisa. Lei per lui sarà il suo personalissimo supereroe (mentre in tv non a caso passa Superman II), ma anche una semplice amica da salvare per ricongiungersi a una madre che non lo ha mai trattato troppo bene e che solo nel timore di perderlo capirà l’importanza del loro legame. Dopotutto, il valore del film sta proprio nella sua capacità di lasciar emergere la forza dei sentimenti mentre mette in scena un personalissimo universo pop, traendone forza senza lasciarsene fagocitare.