Venezia80 – Le forme del cinema e gli inganni della realtà: Stolen, di Karan Tejpal

Tutto inizia, carpenterianamente, dal molto piccolo, ovvero da una stazione ferroviaria dove il rapimento di una bambina dà il via all’incredibile girandola degli eventi. Ne fanno le spese, costretti in un meccanismo più grande di loro e sempre in procinto di stritolarli, due fratelli appena riuniti per partecipare alle seconde nozze della madre. Per la polizia uno dei due è testimone di quanto accaduto e lui non si sottrae, per quella voglia di rimediare all’ingiustizia che sarà una costante dell’intero racconto. Ma che, a sua volta, sarà continuamente messa alla prova dai continui cambi di fronte della verità. Presentato a Orizzonti Extra di Venezia80, Stolen è un film magmatico, caleidoscopico e in continua mutazione, narrativamente e figurativamente. La citazione in esergo avverte in proposito circa la presenza di due realtà in India, distanti ma sempre sul limite (evidentemente tutt’altro che invalicabile) di confliggere. Sono da un lato quella alto borghese da cui provengono i due protagonisti, perfettamente inconsapevoli della complessità problematica di un mondo che li considera (e li fa considerare) elementi centrali; dall’altro versante c’è invece l’India sottoproletaria della madre della piccola rapita, in una dicotomia che sembra rievocare gli scenari apocalittici del dimenticato I.D., di Kamal K.M., visto a Torino 2012. Insieme, i tre malcapitati si troveranno a condividere il percorso, passando dalla stazione di Mumbay all’entroterra desertico, attraverso pure una fantomatica “casa maledetta”, fino a giungere ai più tradizionali villaggi dove sembra vigere la legge della giustizia sommaria.

 

 

L’ispirazione, non a caso, viene da un fatto reale, che ha visto due uomini linciati dalla folla perché accusati di traffico di minori da falsi video diffusi attraverso Whatsapp. Che poi è la parte centrale del racconto, in cui lo scenario desertico e le frotte di assaltatori alla Mad Max creano un’efficacissima dicotomia alla “doppia realtà” creata da telefonini e social. Se il ritmo resta sempre teso, il regista Karan Tejpal mette a frutto la sua formazione altrettanto composita, da Bollywood ai commercial e ai lavori per la televisione, riuscendo a fare di Stolen un film che nel suo continuo cambio di pelle ossequia tanto le possibilità liberissime del racconto cinematografico, quanto la natura cangiante della verità. Parte in questo modo da un impianto realistico, che illustra le difficoltà della classe sottoproletaria, la sperequazione sociale in cui trova facile mercato il traffico dei minori e la corruzione delle autorità.

 

 

Lo racconta attraverso le forme del thriller, con punte quasi horror favorite da una prima parte strettamente notturna, che trascolora poi nell’action puro, mediante il tour-de-force dei due fratelli impegnati tra fuga e ricerca. Ancorandosi a lunghi piani sequenza, Tejpal cerca il realismo della performance, mentre la muscolarità della tecnica trasfigura il dramma in puro racconto western, coniugando a perfezione un approccio classico a una visione più strettamente (e felicemente) contemporanea. Mentre procede spedito, Stolen crea quindi una forte empatia verso il destino dei personaggi, mentre i pezzi del puzzle si compongono con consumata economia narrativa, orientando lo spettatore tra false piste e piccole/grandi rivelazioni che solo alla fine daranno il quadro preciso. La ricerca diventa in questo modo un viaggio dal sapore tanto esaltante per lo spettacolo che è in grado di offrire, quanto vertiginosa per la fragilità degli equilibri che racconta e che permettono alla tensione di giocare sempre nuove carte fino alla fine.