Venezia80 – L’umanità del Golem: L’homme d’argile, di Anaïs Tellenne

È la liberazione di un universo cristallizzato, quello che racconta Anaïs Tellenne in questo bell’esordio registico, presentato alla Mostra di Venezia 2023 in Orizzonti Extra: un mondo che trova la sua sintesi esteriore nelle arti figurative, come quel paesaggio dipinto su cui lentamente si apre la vicenda, o quei soprammobili contenuti nella casa di Raphael (un gigantesco – in tutti i sensi – Raphaël Thiéry). Dove a un certo punto arriva anche una statuetta del Golem ebraico, souvenir di un viaggio all’estero, distante dai placidi silenzi di quella esistenza in provincia. Di suo Raphael vive la sua vita senza troppi pensieri, nel segno della materialità del fare, quella che gli ha guadagnato il posto da custode di un’antica villa di campagna. Una notte però la proprietaria, Garance, artista internazionale, fa ritorno. È sconvolta, avvolta nelle sue lacrime, ma quell’incontro produrrà in lei (e nell’uomo) nuove sensazioni. Garance infatti decide di scolpire una statua d’argilla di quel custode dal corpo forte e dal viso diseguale (è privo di un occhio) che lei vede come un autentico paesaggio: lo prende perciò a modello, lo osserva affascinata dai suoi molteplici talenti (suona anche la cornamusa in un gruppo di musicisti locali), lo spoglia, ne accarezza i muscoli per l’interposizione fornita da quel doppio creato ancora una volta dall’arte. Si consuma in questo modo un’educazione al desiderio che mentre vede nella creatrice una forte bramosia di catturare l’essenza della sua musa, nell’uomo evoca sentimenti mai provati, lui che il sesso lo aveva praticato sempre e solo “senza sentire strette allo stomaco”, per gioco con la postina locale.

 

 

Esaltato dall’uso intelligente del formato non panoramico, “stretto”, delle inquadrature, lo sguardo della Tellenne esalta i piccoli gesti dello sfiorare la materia grezza, che diventa corpo sensuale e rinnova il mito michelangiolesco dell’opera che appare viva, lavorando sul dualismo di un gigante buono “creato” per proteggere e che dopo anni trascorsi nell’inconsapevolezza, progressivamente scoprirà tutto il peso di essere finalmente portato in vita. Il riferimento al Golem della tradizione si unisce così a un racconto che ha la dolcezza e il dolore di una parabola di disillusione alla Frankenstein, donando sostanza poetica a un rapporto fra modello e opera finale in cui l’uno confluirà naturalmente nell’altro. La cristallizzazione del mondo – quello di Raphael, certo, ma anche della stessa Garance – si apre in questo modo a una parabola più complessa della vita, ma con il precipitato emozionale dato da un approccio alla materia partecipe e sensibile, che in tutta la durata del racconto non lascia mai indifferenti.