Girl, esordio del belga Lukas Dhont, va al di là della traccia gender che pure ne determina la forza d’urto. La storia di Lara, 15 anni, nata come Viktor e ora in vista di una nuova identità sessuale, non è solo quella di una ragazza che cerca di liberarsi del corpo da ragazzo in cui si ritrova prigioniera. E’ anche la storia del confronto tra la volontà e la resistenza passiva della realtà, un dialogo tra ciò che ha l’impalpabilità del sogno e ciò che invece si incarna nella solida fisicità dei fatti. In questo dramma adolescenziale, in cui l’incedere verso l’età adulta si trasforma in una lotta per disconoscere il proprio corpo, Lukas Dhont cerca di definire non tanto lo spazio identitario interno della protagonista, quanto la sostanziale reticenza del mondo esterno ad accettarne le regole differenti. Lara infatti vive in un contesto di piena e totale accettazione: il padre la accompagna e la asseconda nel processo di preparazione all’intervento chirurgico per cambiare sesso, il fratellino di pochi anni accetta serenamente la cosa, così come i familiari e le compagne della scuola di danza in cui è stata ammessa per coronare il suo secondo sogno, quello di essere una ballerina professionista. E’ però proprio la mancanza di qualsiasi livello problematico nello scenario proposto dal film, la traccia drammaturgica più forte. L’impedimento alla realizzazione del sogno di Lara non è opposto da fattori esterni espliciti, da giudizi negativi di amici e familiari, da incomprensioni anche solo casuali.
Il mondo attorno a Viktor accetta di avere di fronte Lara senza reticenza alcuna e il dramma del film si scatena nello spirito e nel corpo della protagonista: il suo sogno di essere ballerina duplica la portata della sua sfida, la mette nelle condizioni di dover forzare il suo corpo non solo nella definizione del suo sesso per via ormonale e chirurgica, ma anche nella formazione atletica da ballerina, con le prove estenuanti di danza che procedono di pari passo con le cure ormonali e le visite mediche di preparazione. Il film diventa dunque la cronaca di una disputa interiore tra Lara e ciò che la separa dal raggiungimento del suo doppio sogno: la scansione è limpida e impercettibile, sia nella presentazione della protagonista che nello sviluppo problematico del suo dramma. Dhont trova con istinto la strada per raccontare lo spazio intermedio che sta tra la sfera del corpo, con la sua realtà solida, e la sfera delle emozioni, che invece è fluida, mobile, instabile. Il film dialoga con la luminosità naturale degli interni, cerca la flagranza dei momenti di intimità, assume il dialogo tra la protagonista e il suo corpo (notevole per fluidità Victor Polster) come fulcro di una ricerca in atto. Dhont proviene dalla Cinéfondation di Cannes e di sicuro il suo cinema ha altre cose da dire.