Alla corte di Ruth – RBG: il bruciante conflitto sociale e la lotta per il cambiamento

Ruth Bader Ginzburg è l’esatto opposto dei politici stile Trump (per parlare solo degli Stati Uniti). Riservata, silenziosa, attenta e accurata in ogni parola che pronuncia, non è solo la seconda donna ad essere stata nominata tra i nove componenti della Corte Suprema, ma è anche l’avvocato che ha speso la sua intera carriera in difesa dei diritti delle donne e contro ogni discriminazione di genere, a partire dagli anni Sessanta, quando ancora non si avevano strumenti per parlare di emancipazione femminile e nessuno studio di New York assumeva donne. La storia e la personalità di questa tenace e combattiva avvocato viene ricostruita attraverso fotografie, immagini amatoriali, dichiarazioni, tutte volte a mettere in evidenza il contrasto tra la sua forza e la riservatezza che l’ha contraddistinta in ogni suo gesto. Le registe Betsy West e Julie Cohen si soffermano soprattutto sul presente di una donna che, a ottantacinque anni, continua la sua missione di uguaglianza al punto da essere considerata dagli studenti di legge una sorta di super eroe.

 

 

Così si è conquistata il soprannome di Notorius RGB, diventando più che mai influente negli ambienti meno conservatori della politica statunitense. Le due registe fanno un passo indietro rispetto alla loro protagonista. Dimostrano di seguire i suoi tempi e i lati più forti della sua personalità e costruiscono un ritratto che vive a cavallo tra il pubblico e il privato: la figura di Ruth moglie, madre e nonna completa la figura dell’avvocato, magistrato e giudice, in un progetto di film semplice e ben più schematico dell’idea di vita della stessa RBG. Questo forse il maggior difetto di Alla corte di Ruth, la scelta di far leva sull’influenza che questa donna minuta ha sul pubblico, per esaltare doti che sono ben note. Manca un aspetto più riflessivo dell’indagine che, al contrario, resta in superficie, come fosse un reportage giornalistico. Ma i frammenti di Storia che si aprono al nostro sguardo sono importanti e giustificano anche questa eccessiva linearità narrativa. In accordo con le scelte politiche di chi ha preferito le piccole, ma inesorabili conquiste, alla veemenza del movimento femminista, il silenzio e la concretezza delle sentenze, agli slogan urlati per le strade. Questione di priorità e di scelte in un periodo di profonda trasformazione, in cui il conflitto sociale ardeva e le disuguaglianze erano enormi. RBG, sembrano voler sottolineare le due registe, accoglie l’istanza di quelle donne, ma persegue la sua lotta con strumenti differenti. Si nutre della sempre maggiore presa di coscienza, forte anche della coeva battaglia per i diritti degli afroamericani. Comprende perfettamente il tempo in cui vive e, di conseguenza, la necessità di un cambiamento culturale duraturo (in quanto stabilito dalle leggi dello Stato) e si adopera per ottenerlo. Percorso più che mai lucido, come la sorridente ottantenne più famosa d’America.