Su Prime Video L’inganno perfetto di Bill Condon: masquerade tra la Mirren e Ian McKellen

Mascheramenti e disvelamenti: il cinema d’attore si nutre di identità nascoste e di formule magiche che esprimono il rapporto sempre ambiguo tra la messa in scena e la verità delle figure in campo. Tratto dal romanzo d’esordio di Nicholas Searle (in Italia per Rizzoli), L’inganno perfetto è il classico film in cui il gioco scenico tra gli attori si impunta sulla masquerade che gli interpreti si ritrovano a incarnare assieme ai loro personaggi. Nel caso specifico la regia di Bill Condon si dedica alla gestione di due star britanniche come Hellen Mirren e Ian McKellen, per la prima volta insieme, impegnate in un duetto di maniere affettate e ombrose intenzioni, dove il gioco tra il gatto ed il topo resta la traccia principale della narrazione. Lanciando l’allerta SPOILER, non ci si può esimere dal dire, infatti, che L’inganno perfetto si muove sulla linea di demarcazione di un ribaltamento di prospettiva tra la buona e la cattiva fede della vittima. C’è l’atttempato truffatore Roy Courtnay, interpretato da Ian McKellen, che ha puntato la sua ultima vittima nella ricca ereditiera Betty MacLaish, ovvero Hellen Mirren: le sue maniere affettate e l’aria da gentile e piacente vecchio signore lo aiutano a entrare nelle grazie e nella casa della donna, che è sola e disponibile alla truffa, nonostante i sospetti e gli avvertimenti del nipote. La truffa ordita da Roy consiste nel farle aprire un conto in cui far confluire gli averi di entrambi per poi prosciugarlo e darsi alla macchia. Il sui complice, Vincent, cerca di far capire a Roy che forse Betty potrebbe essere la via d’uscita verso una nuova, ancorché tarda vita onesta, ma il pelo e il vizio restano ben attaccati alla sua scorza da vecchio truffatore, portandolo dritto verso la sua nemesi, che si cela nel doppiofondo di Betty, dietro la cui disponibile ingenuità si nasconde una perfetta cacciatrice di truffatori come Roy.

 

 

Il film procede per grandi passi narrativi, innestando l’ampio flashback che svela il passato Roy nel corpo del film con una grosssolanità che non è solo strutturale ma anche di ambientazione, casting e messa in scena. Del resto il turnover che demarca lo scambio di ruoli tra vittima e carnefice è perfettamente coerente con il cinema di Bill Condon, il quale, sin dai tempi del forse troppo dimenticato Demoni e Dei, sul rapporto tra creatura e creatore, ovvero tra maschera e corpo o verità e menzogna, costruisce una poetica fatta di appartenenza, libertà e duplicazione della dipendenza reciproca. D’altro canto, L’inganno perfetto rappresenta un interessante gioco di specularità tra i due interpreti, che mantengono sino alla fine alto il duello tra la loro solidità caratteriale e la sbavatura perfida della loro presenza scenica. Peccato che, nell’insieme, il film risulti piuttosto prevedibile e sbozzato nella messa in scena, priva di energia e di effettivo chiaroscuro. Troppo facile il birignao dei finti sentimentalismi da terza età, troppo scontato il riscontro con la verità dei personaggi chiamati in scena.