Film apolide, in cerca di casa: forme di transumanza esistenziale (luoghi, generazioni…) che Gastón Solnicki frequenta da sempre nel suo cinema sospeso tra appartenenze, attraversamenti, ricerche, riconoscimenti, immagini… Basti pensare a Introduzione all’oscuro, il film precedente del regista argentino, che abbracciava il ricordo di Hans Hurch, compianto direttore della Viennale appena scomparso, evocandola tra un film di Lubitsch e le strade viennesi. Tre anni dopo Solnicki è ancora sulle strade di Vienna, questa volta insieme a Angeliki Papoulia e Carmen Chaplin, protagoniste di A Little Love Package (alla Berlinale72 nel concorso Encounters): la prima è un ricca donna greca in cerca di una casa nel cuore della città, la seconda un’arredatrice sua amica, che cerca di aiutarla in una scelta che appare ardua, perché Angeliki una casa sembra proprio non volerla trovare… Carmen gliene mostra tante, ma tutte hanno qualcosa che non va, dispersa com’è in un languore che non sembra voler trovare dimora o che sembra attrarla altrove, forse in quella casa dei genitori a Salonicco di cui infine parla… Altra luce, altri suoni, altri colori… Un po’ come la figlia, che vuole suonare il piano e comporre, ma non vuole frequentare il conservatorio, perché le va stretto e preferirebbe esercitarsi con la pianista coreana che la madre va ad ascoltare ogni giorno con una scusa…
Solnicki tiene il suo film proprio tra questo bisogno di stare e l’urgenza di andare, segue Angeliki e la sua guida viennese Carmen, ma poi inciampa in altre storie e le lascia subito cadere, proprio come capita a quel meraviglioso non-personaggio su cui il film si apre (lo vediamo in un crepuscolare campo lungo sul greto del Danubio), un ragazzo biondo che fa scarpe su misura con cui camminare comodamente, ma poi lascia continuamente cadere le cose che maneggia o inciampa lui stesso e rotola giù da un verde pendio… C’è un uomo che fa colazione con un uovo sodo e ricorda la dolcezza della madre, un geologo che studia i meteoriti… Sarà che siamo nel 2019 ed è l’anno che segna l’imposizione del divieto di fumare nei locali viennesi: la fine di un’epoca, come all’inizio ci spiega Mario Bellatin, lo scrittore messicano che fa da voce narrante del film: il fumo delle sigarette è pensiero che si libera e scioglie la mente, la spinge altrove. Solnicki segue dunque il suo spirito apolide, ascolta la malinconia di Angeliki che infine compra una casa, firma nero su bianco un contratto, ma subito spiega che andrà in Grecia nella casa avita… E la perdiamo, chissà forse la ritroveremo nel prossimo film di Solnicki…
Via da Vienna va anche Carmen, che ora seguiamo verso un altro sole e un altro mare, quello di Malaga, dove raggiunge il vecchio padre e la madre bisognosi di cure, aprendo il secondo corpo del film, l’altrove luminoso dell’ombrosa Vienna. E qui è un’altra irrequietudine a prendere piede, perché Carmen e le sorelle non sanno se vogliono stare o andare, e i loro figli pure… È tutto un gioco di stop and go, quello che Gastón Solnicki mette in scena, la flagranza di una volontà esistenziale dispersa nel bisogno di muoversi, di non fermarsi, senza che questo significhi disprezzare la durata del tempo, considerare il valore della vita che sta qui e sta anche altrove. A Little Love Package è un film di genealogie stratificate nei luoghi e nei tempi vissuti. Un po’ come accadeva in Papirosen, dove Solnicki aveva attraversato la sua storia familiare nella trasparenza dei Super8 di famiglia: luoghi, ricordi, figure, gesti, volti, case, oggetti: filmati nel tempo cui si è o non si è appartenuti…
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