“Colei che deve essere amata” ha ovviamente un unico scopo nella vita: trovare qualcuno che la ami. Causa un recente trasferimento da Parigi (anche lì le cose non andavano bene, se non per qualche sguardo scambiato alla Cinémathèque Coral: «Ho preso una cotta. Ci siamo guardati parecchio. Non ha funzionato. Nessun posto in cui seguirci»), la venticinquenne Amanda (Benedetta Porcaroli) si ritrova nella città dove ha vissuto da bambina con una madre poco attenta (Monica Nappo), una sorella che non la sopporta (Margherita Maccapani Missoni) e un padre assente seppur fisicamente presente, senza amici né relazioni sentimentali e senza un lavoro (non prende nemmeno in considerazione la farmacia di famiglia gestita dalla sorella). Le uniche due persone che sembrano tenere a lei sono la cameriera Judy, donna di mezza età che veglia su di lei fin dalla più tenera età, e la nipotina Stella. Quando su pressione della madre anche Judy le trova scuse per non uscire più con lei («Non posso venire al rave con te. Hai bisogno di farti degli amici»), Amanda prova senza fortuna con gli incontri on line e con un ragazzo (Michele Bravi) conosciuto a un rave con cui scambia qualche parola e a cui si attacca in maniera un po’ troppo ossessiva. Accetta poi di rivedere Rebecca (Galatea Bellugi), sua coetanea e figlia di Viola (Giovanna Mezzogiorno), la migliore amica della madre, che frequentava da bambina. Peccato che da più di un anno Rebecca non esca dalla sua stanza. Ma la determinazione di Amanda ad avere un’amica non si ferma davanti a nessun ostacolo.
Amanda – che sembra la versione aggiornata e cresciuta di Pippi Calzelunghe: come lei veste in modo improbabile (anfibi, un gilet fatto all’uncinetto che rievoca la vecchia coperta della nonna, una gonna e un pastrano nero), si prende cura di un vecchio cavallo bianco semi abbandonato, non ha una scimmietta, ma passa le giornate con chi della cattività ha fatto una scelta di vita e ha rinunciato alla villa di famiglia per vivere da sola in una squallida stanza d’hotel – è un personaggio fuori dal comune e anticonformista: estremamente diretta, dice solo ciò che pensa, non accetta scorciatoie o compromessi e per questo viene da sempre isolata («Mi fai pena» si sente ripetere spesso), ma continua ad andare dritta per la sua strada. Carolina Cavalli, anche autrice della sceneggiatura, parla di famiglie borghesi disfunzionali, di personaggi marginalizzati che non si danno per vinti, di solitudine e della difficoltà di entrare in relazione con sé stessi e con gli altri. Se gli uomini sono figure di sfondo (come il padre, presenza fantasmatica a cena), poco disponibili a entrare in una relazione profonda (i ragazzi incontrati online), inaffidabili (come il personaggio interpretato da Michele Bravi), le donne che circondano Amanda non sono meglio: la madre si illude di vivere in un mondo perfetto e ordinato completamente avulso dalla realtà, la sorella è infelice e arrabbiata, Viola è costantemente sull’orlo di una crisi di nervi e la psicoterapeuta coetanea si rivela una fasulla. Solo chi è senza filtri e fatica a decodificare una realtà totalmente omologata (la nipotina Stella che ama la musica, sa tutto di Gesù Cristo, ma avrà bisogno dell’insegnante di sostegno), la cameriera sudamericana e l’amica problematica sembrano possibili interlocutori in un mondo di persone totalmente autocentrate. Un’opera prima bellissima – con dialoghi surreali e brillanti, interpreti in stato di grazia, (non)luoghi difficilmente identificabili e destinati a rimanere impressi – che è un elogio alla capacità di resistere e non conformarsi.