“Art Was Here”: la frase con cui il clowesco serial killer inventato da Damien Leone segna il suo passaggio non si rivede troppo in questo Terrifier 3, ma può essere elevata a considerazione iconica del percorso compiuto dalla saga. Un cammino sorprendente verso i vertici dell’immaginario contemporaneo, partito dalle oscurità dell’indipendenza più autarchica – di fatto il personaggio di Art il Clown nasce in due corti dell’autore, poi riuniti nel lungo per l’home video All Hallow’s Eve, da noi Terrifier: L’inizio. Accade dunque che Terrifier 3 non sia solo il primo dei tre (quattro) film a uscire nelle nostre sale, ma anche quello che supera il nuovo Joker nel gradimento del pubblico e rastrella consensi diffusi, nonostante i divieti e una distribuzione che alle spalle non ha i colossi delle major, ma realtà come Cineverse (fondata nel 2000) e Iconic Event Releasing (del 2020), oltre alla produzione assicurata, fra gli altri, da un sito di notizie sull’horror come Bloody Disgusting. Né va dimenticata la trama in divenire (è necessario aver visto almeno il precedente per riannodare i fili), in cui ritroviamo Sienna Shaw dopo cinque anni trascorsi in clinica per superare i traumi delle passate esperienze al Terrifier, che si stabilisce dagli zii, mentre Art è risorto e si è nascosto in una vecchia casa in attesa del secondo round, che avverrà stavolta sotto Natale. L’intelligenza di Leone sta nell’aver assimilato le limitazioni iniziali, attraverso una narrazione che ancora non sembra aver svelato tutte le sue carte, ma affastella piccoli dettagli a ogni nuovo capitolo e si concede il tempo di crescere, passando dall’evidente scarsezza di mezzi degli esordi fino alla messinscena curata e “golosa” di questo film, tutto intinto nelle tonalità calde delle luci natalizie e in una splendida fotografia che ricrea la pastosità delle immagini dei classici slasher d’annata.
La formula, dopotutto, è quella mai doma dell’assassino mascherato che colpisce nel pieno delle festività, siano Halloween o il Natale appunto, all’interno di un meccanismo basato sulla meccanicità spettacolare delle morti. Se in questo caso Art ricrea pure il momento topico dell’attacco durante una scena di sesso, in luogo dei suoi più consueti omicidi compiuti a caso contro chiunque gli capiti a tiro, diventa evidente come Leone stia giocando una partita sulla distanza e la vicinanza dalla classicità. Riprende dunque gli schemi di un cinema perduto, ma al contempo mescola un po’ le carte, alzando i toni e il tiro, giocando con gli sfasamenti della timeline (gli esperti ricorderanno l’inganno temporale su cui si apriva e chiudeva il primo Terrifier), inserendo pure elementi soprannaturali e demoniaci che portando a uno scambio di ruoli fra protagonista e spalla (nel finale qui è l’indemoniata Victoria a rubare la scena a Art). In fondo, lo stesso Art è un mostro di sintesi, che si muove fra la brutalità estrema dei suoi attacchi e la mimica farsesca con cui irride le vittime quasi stia facendo loro uno scherzo (a volte mostrando anche timidi accenni di rottura della quarta parete). Di qui la strana alterità provocata da sequenze splatter tra le più feroci mai viste sullo schermo e una sorta di spersonalizzazione delle stesse date dall’ironia oscura con cui sono messe in scena, scatenando di volta in volta il disgusto e il riso. Soprattutto è intrigante la capacità di Art di incarnare una sorta di innocenza infantile dell’elevazione del mondo a enorme campo giochi – da cui la lunga sequenza con cui interagisce adorante con Babbo Natale quasi fosse un suo eroe – e la violenza cinica degli adulti, che non a caso si snoda in seno all’alveo familiare.
Si va dalla casa in cui Art penetra all’inizio sterminando madre, padre e figli, alla dinamica di ricognizione attorno a Sienna, con l’accanimento verso i suoi affetti, perché con lei non si può avere che un rapporto segnato da una sorta di distanza: Art la colpisce di fatto, ma non la uccide mai, anche qui con una dinamica a metà fra la tortura e il gioco ossessivo, con i colpi che sembrano energici scappellotti. Sottotraccia, non a caso, riposano rapporti filiali irrisolti per Sienna, l’ombra di un padre eroe pregno di fantasia ma di cui si dice fosse un violento, che lascia quasi intravedere in Art una sorta di personificazione di paure recondite da superare e di mascolinità tossica – basti pensare anche a Victoria che da vittima diventa complice, in una perversa Sindrome di Stoccolma. Naturalmente tutto resta sempre in una dinamica a metà fra il gioco (la spada magica) e la realtà (le morti dei familiari). Può sembrare molto cinico come meccanismo (in parte lo è), ma la sua capacità di non accettare compromessi e rivolgersi frontalmente al pubblico è qualcosa che non si vedeva da tempo e risulta per molti aspetti rinfrescante. Sarà da capire se riuscirà a resistere (e quanto) alla lunga serializzazione, che già ebbe effetti controversi con un altro grande eroe dell’horror, Freddy Krueger…