È ambientato nella Spagna paludosa del 1980, con tutta la tensione che il luogo e il periodo comportano. La isla mínima, sesto lungometraggio di Alberto Rodríguez, riconosciuto come uno dei piùinteressanti giovani registi e sceneggiatori del cinema spagnolo, è un noir a tutti gli effetti, torbido, oscuro, respingente e attrattivo al tempo stesso, merito di un paesaggio (la foce del Guadalquivir) che sembra muoversi, respirare e complottare contro ogni mossa di ciascuno dei protagonisti, una sorta di ostacolo continuo che condiziona i tempi di questo film, anzi, li trattiene, nonostante la necessità di fare in fretta da parte dei due poliziotti che in questo luogo sono stati mandati a cercare il killer di giovani donne. Al loro arrivo nel profondo sud della Spagna, infatti, il clima che trovano è di aperta ostilità. Troppi segreti potrebbero essere portati allo scoperto, e, infatti, Pedro e Juan devono fare i conti con l’ostilità aperta degli abitanti. A nessuno sembra interessare la verità e così il loro percorso sarà destinato a infinite deviazioni e altrettante scoperte.
Un film di genere che trae ispirazione dal cinema che lo ha preceduto e dal labirinto di paludi e risaie che genera l’isolamento da cui tutte le ragazze uccise hanno cercato di fuggire. Un thriller traslato da un discorso capace di rivelarsi via via in molteplici derive e soluzioni visive inaspettate. “Un magico e misterioso luogo in cui la ricchezza e il potere hanno vissuto spalla a spalla con il dolore e la tristezza di personaggi, che sono il risultato di un difficile passato politico e sociale”. In questo film il passato e il presente sembrano ancora in conflitto. La democrazia da poco restaurata, la morte recente del dittatore Franco e la legalità, che dovrebbe prendere il posto della sopraffazione, rappresentano il tessuto spugnoso su cui tutto il resto è costruito. Ci si muove nel fango anche nel rapporto tra le persone, a partire proprio dalla differenza/somiglianza dei due poliziotti protagonisti. Hanno modi diversi di gestire le ricerche, ma uno stesso grumo in cui si confondono il bene e il male. Qui più che mai si fa fatica ad uscire dagli antichi retaggi e la violenza ha giustificazioni diverse. Proprio da questo sottofondo oscuro, Rodríguez sembra voler far affiorare il racconto, come a dover strappare dal nero tutti i gesti e gli avvenimenti di questa storia urgente e destinata a restare misteriosa anche dopo lo scioglimento di molti misteri. Perché La isla mínima (che arriva in ritardo in Italia, mentre in patria nel 2014 ha fatto incetta di riconoscimenti, tra cui dieci premi Goya) è un thriller che non si pacifica, anzi, vede accrescere una sorta di rabbia strisciante in chi osserva e in chi è osservato. Come un’arena crudele in cui va in scena lo spettacolo della morte. Si moltiplica, così, il gioco voyeuristico, che è l’aspetto più violento in quanto mai enunciato nella sua diretta semplicità. Ci si accorge che l’intreccio di chi guarda, osserva, spia, va ben oltre le indagini, ma è insito nella stratificazione di questo luogo e tiene legati tutti, anche chi cerca di andarsene. Come dimostra il negativo bruciato, che passa di mano in mano, e nasconde e svela verità che, però, tutti sembrano conoscere. Come dire che dietro ogni foto (e non solo quelle relative al caso in questione) ci sono molte verità, tutte possibili e impossibili, giuste e sbagliate, colpevoli e innocenti.