Potere della parola: su Netflix la quinta stagione di Better Call Saul

«Io sono un male, per te?»
«Sei un male per me?»
«Ti ho cacciata in questa storia».

 

 

Già, Jim è un male per Kim? Lui l’ha trascinata dentro questa storia di polvere, sangue e denaro. Lui l’ha stregata con i suoi trucchi, raggirata con le sue bugie, contagiata con le sue parole. Verrebbe da pensare che sì, Jim è un male per Kim e tutte le delusioni e le ferite accumulate hanno finito per corroderle l’identità trasformandola drammaticamente in una vittima indifesa, esausta e sconfitta. Ma non è così. Non del tutto. Eppure la quarta stagione si concludeva sul ghigno beffardo di Jim che si faceva chiamare Saul innescando quel principio di conversione kafkiana che esaltava la sua vocazione a emergere, a uscire dall’ombra del fantasma di suo fratello Chuck, a pronunciare con fierezza il suo nome. Non Paul, cioè Paolo, quindi “piccolo” per la piccolezza e la modestia del suo animo, ma Saul come il re superbo. Non un nome a caso. Nulla è a caso e tutto sorprende con Gilligan e Gould e la solidità della quinta stagione di Better Call Saul ne è la conferma. Tutto cambia? Quasi. Jim e Kim. Soltanto una lettera a renderli diversi. Un segno. Un suono. Non altro. Il finale di quinta stagione segue un’unica direzione dichiarando apertamente che i ruoli s’invertono: lei non è ciò che lui possiede, ma ciò senza il quale vivere non sarebbe più vivere. Lei è l’essenziale e resta differente, necessaria e imprendibile.

 

 

Seduti sul letto, Jim e Kim, uno affianco all’altra, maschere posate (?), una coppa di gelato in mano. Da una parte la foschia della paura s’insinua nella spavalderia di Jim che, a dire il vero, ha smesso di ridere dopo il trauma del deserto, con i proiettili, i morti, la sabbia, il sole, la sete, i soldi; qualcosa è cambiato da quando lavora per il cartello, da quella volta che Lalo gli ha fatto aprire gli occhi traslando il significato di JMM (non la verità, James Morgan McGill, non la menzogna, Justice Matters Most, bensì quello che conta: Just Make Money). Jim e il deserto: un luogo e un itinerario di dannazione. Dall’altra parte il fuoco della rivalsa accende lo sguardo di Kim, pronta a tutto per difendere ciò che le appartiene, per gridare il suo nome, liberarsi da un passato che ha generato schemi ingombranti, seriamente determinata a eliminare Howard. Ma è sempre stato così: Jim con le sue paure, Kim con le sue ambizioni; Jim con i suoi azzardi, Kim con i suoi freni. Questa somma tra la trasfigurazione persistente verso le incognite del male, l’ambiguità dei dualismi interiori dei personaggi, aspetto reso sul piano formale con razionale e ossessiva precisione (mdp nascosta, oggetti doppi, spezzati, tagliati, immagini riflesse se non divise e frantumate) e i dilemmi etici sulla Legge e sulla Giustizia, per chi ha amato Breaking Bad potrebbe non rappresentare una novità. Eppure la compattezza dell’impianto, il respiro della narrazione, la scrittura dei personaggi (e quello di Kim Wrexler interpretata da Rhea Seehorn risulta decisamente uno dei più compiuti in assoluto per come impenna il suo moto ascendente lavorando per sottrazione, raffreddando le emozioni, con punte improvvise di tenerezza, moti armonici di serenità – ma è evidente la ricchezza di sfumature offerta da tutti gli altri, da Mike a Nacho), il lavoro incessante sul dare corpo alla voce (è pur sempre una serie sulle bizzarre gesta di  un avvocato, ma qui il timbro profondo della voce di Bob Odenkirk amplifica il senso di affabulazione) rendono Better Call Saul un finto spin-off. Se ancora non fosse chiaro, la quinta stagione di Better Call Saul ribadisce la totale emancipazione dalla serie madre dimostrando in maniera definitiva la propria autonomia: un racconto carico di suspense che sorprende per la capacità di condurre lo spettatore verso pieghe inaspettate, risvolti dolorosi, attimi di fugace ironia e incontrollabile passione; una tensione che si dipana lentamente, insinuandosi nelle convinzioni, ribaltando le aspettative, modellando una nuova forma di attesa. Tornano in mente le parole di Michel de Certeau: «L’attesa concerne il nostro essere intero. E ciò che ci giunge è precisamente il raggio che, illuminando la palma delle nostre mani e cambiando a poco a poco il paesaggio, ci annuncia che il sole viene, altro da ciò che la notte ci permette di conoscerne». La notte e il giorno. Il buio e la luce.

 

 

In questo senso, l’episodio 8, Bagman, diretto da Gilligan, e l’episodio 9 Bad Choice Road, diretto da Thomas Schnauz, costituiscono il vertice emotivo della quinta stagione e idealmente corrispondono alla rappresentazione della notte e del giorno, del buio e della luce. Se Bagman può essere visto come la sintesi dell’estetica e dei temi di Gilligan e Gould poiché attraverso l’immagine del deserto riprende alcune forme e situazioni già viste in Breaking Bad, benché potenzi nelle scene in notturna tra Mike e Jim le risonanze di una nuova epica umana tipica di Better Call Saul, Bad Choice Road presenta in apertura e in chiusura le due sequenze indimenticabili della serie, il punto di non ritorno. L’episodio si apre con uno split screen di Jim e Kim separati, sulle note di Something Stupid interpretata da Lola Marsh: lui si trascina nel deserto sperando di raggiungere un luogo in cui ci sia campo per telefonare, lei lo aspetta ansiosa a casa. C’è tanta amarezza in questa storia. C’è tanta malinconia. L’attesa concerne il nostro essere intero, è così. E temiamo che qualcuno si faccia male sul serio, ma non è ancora il momento. Nel finale Lalo si reca nell’appartamento di Jim e Kim per chiarire perché ha il sospetto che qualcosa sia andato storto. Non ha le migliori intenzioni. Mike è fuori, nascosto, pronto per intervenire, disposto a sparare. Kim non lo sa. Noi e Jim sì. Lalo accusa, Jim si difende ma è la parola di Kim, giudice della disputa, a lasciare il segno. E su questo Better Call Saul ha sempre giocato lealmente la sua partita con lo spettatore: ci sono parole che salvano. Ma alle parole bisogna credere. E Lalo crede a Kim, sarebbe imperdonabile non farlo. Lalo crede a Kim, gira i tacchi e se ne va. Tutto il resto è attesa per la sesta e ultima stagione per un epilogo che farà soffrire. Sorgerà il sole o calerà la notte?