Aaron è un giovane come tanti, frequenta l’università e passa i suoi giorni fra studio, bevute con gli amici e il tempo trascorso con la famiglia. Il ragazzo è riservato, non un hikikomori ma nemmeno propriamente un festaiolo, ed è passando del tempo da solo che ha modo di ascoltarsi e di rendersi conto che qualcosa in lui non va. Inizialmente cerca di non prestare ascolto a quell’impulso inaccettabile che, come l’acqua che goccia dopo goccia buca una pietra, si fa strada nella sua consapevolezza fino a diventare impossibile da negare, fino a rendergli impossibile avere una vita serena e persino fare sesso con una ragazza conosciuta da poco diventa un lusso che ad Aaron non è concesso. In quella stanza piccola e ordinata resta un giovane con i suoi fumetti e un elefante impossibile da ignorare ma troppo grande da affrontare. Aaron, il fumetto di Ben Gijsemans pubblicato da Coconino Press (euro 26, pa.208), è semplicemente clamoroso. Prende una tematica pesantissima, una delle poche che a raccontarle si cammina ancora sulle uova, e lo fa con una soluzione che sfiora la perfezione. C’è un passaggio, un solo passaggio che pur non essendo di troppo poteva ancora essere limato di uno spessore trascurabile, e Aaron sarebbe stato un’opera perfetta. Ma si tratta di una sbavatura minimale in un lavoro che, per il resto, è di una precisione millimetrica nel proprio minimalismo con cui racconta una storia in punta di penna senza rinunciare a essere disturbante ma, allo stesso tempo, senza scadere nella retorica facile.
Perché quando si parla di pedofilia fare del moralismo è questione di poco, ci vuole davvero un attimo per scadere nel predicozzo o per parlare alla pancia suscitando emozioni a buon mercato sfruttando un hot topic che fa sempre presa senza affrontare tutta la complessità di una realtà che fino all’eccesso viene trattata opponendo soluzioni semplicistiche, quando non direttamente del tifo becero da stadio, a una problematica come minimo difficoltosa da affrontare. Gijsemans ha il coraggio di camminare su un terreno scivoloso scegliendo la via di un minimalismo quasi spartano, scevro di parole ma ricco di dettagli ripetuti all’infinito nel ritmo ossessivo di una tavola costruita con una gabbia fissa che ha dell’ipnotico e che varia solo in momenti ben precisi della narrazione presentando vignette dalla linea chiara e minuziose nella rappresentazione dei particolari che, per certi aspetti, ricordano il tratto di Vittorio Giardino.
Il dispositivo costruito dall’autore sembra proprio voler dire che da questa stanza, nel cui centro siede questo terrificante elefante, non si scappa. Non ci sono vie di fuga, giri di parole o artifici retorici, così come non ci sono drammatizzazioni facili che pur facendo montare artificialmente la tensione in qualche modo distraggono dal vero problema. In Aaron il problema è lì. Chiaro, visibile e innegabile. L’impulso cresce nel ragazzo poco per volta, al punto che all’inizio si capisce a livello razionale dove la storia potrebbe andare a parare ma fra i molteplici esiti non si prende in considerazione proprio quello, anche perché il protagonista non è propriamente un personaggio a cui si facilmente si attribuirebbe un disturbo come la pedofilia, non ha niente di quello che nell’immaginario comune ci fa comodo pensare quando tratteggiamo un ritratto ipotetico di una persona affetta da una patologia del genere. Per certi versi Aaron ricorda Shut up and dance, un episodio della terza stagione di Black Mirror basato su tematiche analoghe, senza la ricerca del plot twist che disarma lo spettatore al momento convenuto. La strada scelta da Gijsemans è molto più accidentata e rischiosa, una scommessa con una posta in gioco molto alta che, terminata la lettura, possiamo considerare stravinta.