Man from Tokyo – Arriva lo spettacolo dell’atletica

Signori, la regina. Ieri mattina è iniziato il programma dell’atletica, la disciplina che più di ogni altra incarna la tradizione olimpica e che al tempo stesso celebra nei Giochi il suo momento più prestigioso, tant’è che fino al 1983 non si era ritenuto di organizzarne i campionati mondiali. Di più. La gara sui 100 metri rappresenta l’appuntamento maggiormente seguito, sarei tentato di definirlo simbolo dell’intera rassegna a cinque cerchi, regalando al vincitore una straordinaria popolarità. Si pensi, per rimanere in questo secolo, a Usain Bolt, per quasi un decennio l’unico sportivo che potesse rivaleggiare in termini di riconoscibilità con gli assi del pallone. Fino a domenica 8 agosto, giorno di chiusura di Tokyo 2020, l’atletica sarà dunque la regina dei Giochi, una regina che in questa edizione è alla ricerca del suo re, ovvero dell’atleta in grado di raccogliere l’eredità dello straordinario velocista giamaicano. I pretendenti non mancano, a partire da quanti si sfideranno tra sabato e domenica per il titolo di uomo più veloce, mentre ieri mattina nelle batterie dei 400 ostacoli abbiamo già visto in azione lo straordinario norvegese Warholm che recentemente ha corso in 46”70, cancellando uno dei record più longevi dell’atletica, il 46”78 con il quale lo statunitense Kevin Young trionfò a Barcellona ’92, detronizzando un altro mito dell’atletica, il connazionale Edwin Moses, che rimase imbattuto per 122 gare consecutive (e si impappinò recitando il giuramento degli atleti ai Giochi di Los Angeles).

 

 

Tamberi

 

E l’Italia? Beh, intanto schiera la rappresentativa più numerosa di sempre, ben 76 atleti, a testimonianza di un movimento ampio, all’interno del quale però pochissimi sembrano in grado di competere per una medaglia. Tra questi Gianmarco Tamberi, che ieri si è qualificato per la finale dell’alto. La sua storia è nota: il 15 luglio del 2016 a Montecarlo, pochi giorni prima di partire per Rio, saltò 2.39, misura da podio. Pochi minuti dopo quell’exploit, incappò però in un gravissimo infortunio alla caviglia che lo costrinse a due interventi e a una lunga inattività. Rientrato alle competizioni, non si è più ripetuto a quei livelli, pur ottenendo un oro e un argento agli Europei indoor rispettivamente nel 2019 e nello scorso marzo, quando è salito a 2.35, migliore misura dopo l’infortunio. “Domenica dovrà essere un giorno magico – ha dichiarato ieri -. Sono fiducioso, perché in occasione dei grandi appuntamenti riesco a esprimermi al meglio”. Sempre domani si assegneranno le medaglie dei 100 metri, specialità nella quale Marcell Jacobs, nato a El Paso, in Texas, ma cresciuto a Desenzano, ambisce quantomeno ad accedere alla finale, in virtù del 9”95 corso a maggio. E qui ci fermiamo, non senza aver ricordato che a Rio l’atletica italiana non ottenne alcune medaglia; l’ultima è dunque quella di Donato (ciao Valerio…) bronzo a Londra nel triplo. Per trovare un oro bisogna invece tornare a Pechino, dove Alex Schwazer trionfò nella 50 chilometri di marcia. L’ultima medaglia ottenuta su una pedana è quella di Gibilisco nell’asta ad Atene, mentre per quanto riguarda le gare in pista è necessario risalire ai bronzi di Atlanta ’96 di Lambruschini nelle siepi e della Brunet nei 5.000.

 

 

Dopo la mattinata allo stadio Olimpico, sono andato all’Ariake Tennis Park, convinto di vedere staccare il biglietto per la finale ai danni del tedesco Zverev. In effetti dopo il prepotente 6-1 del primo set e il break effettuato nel quinto gioco del secondo, la partita sembrava essersi incanalata come da pronostico (non solo mio…) e già pregustavo di proporvi un creativo FenomeNole, quando il serbo si è letteralmente piantato, concedendo otto giochi consecutivi all’avversario, che ha così vinto 6-3 il secondo parziale, portandosi poi sul 4-0 del terzo, chiuso 6-1. Un risultato inatteso, così come la sconfitta nei quarti del judoka francese Riner, campione olimpionico di Londra e Rio e grande favorito nella categoria oltre i 100 chili. Non fosse troppo scontato commenterei: La caduta degli dei (Luchino Visconti, 1969). Spicciole per chiudere. Notata una coda poco fuori dal Centro stampa principale (Mpc) che portava a uno spiazzo delimitato da alcune fioriere. Incuriosito mi sono avvicinato e ho scoperto che si trattava di fumatori in attesa di entrare in uno spazio (aperto) a loro riservato, dove però non potevano accedere più di sei persone per volta. Non sapevo che in Giappone si guidasse a sinistra. Ovviamente l’ho notato appena arrivato, ma mi vergognavo a dirlo. Ho sempre pensato che il Giappone si sviluppasse principalmente in direzione nord-sud. Guardando le cartine in questi giorni ho invece realizzato che prevale l’asse ovest-est. Perse le tracce del Borat uzbeco e del suo fido scudiero.