Il padre e il figlio, la rappresentazione e la verità, la dinamica tra persona e personaggio, set e vita… Sin dal titolo, El Father Plays Himself, il film di Mo Scarpelli visto in concorso al 51mo Visions du Réel edizione on line, è come un meccanismo archetipico che moltiplica i suoi ingranaggi. È come se cercasse consapevolmente il surplus delle dinamiche fondamentali che mette in moto, per spingerle nella sfera solo apparentemente imparziale dell’osservazione sul campo. Diciamo pure un backstage: la forma è quella del film in presa diretta sul set, e nemmeno un set semplice… Siamo in Venezuela e la lavorazione in oggetto è quella dell’opera seconda di Jorge Thielen Armand, La Fortaleza (passato lo scorso gennaio in concorso a Rotterdam), in cui il giovane regista racconta la vita avventurosa in Amazzonia del padre, che ha il suo stesso nome e che è interpretato dal vero Jorge Thielen Hedderich, celato dietro il personaggio fittizio di nome Roque. Più che un film, La Fortaleza è un abbraccio difficile e scomposto tra un padre e un figlio che si conoscono poco e che si ritrovano uniti nello sforzo di ricostruire e rielaborare la distanza che ha segnato il loro rapporto. Di conseguenza, più che un set, quello che Mo Scarpelli si trova a raccontare è un vero e proprio setting psicoanalitico, lo scandaglio di una dinamica affettiva riedificata nella narrazione di un psicodramma che utilizza il cinema come spazio di una terapia allargata.
Perché è evidente che in tutto questo la funzionalità estrema della meccanica del set pone in essere una sorta di esternalizzazione delle emozioni, di resa plastica dei vissuti rimossi, di confronto con la conciliazione degli eventi garantita dalla riproduzione sul set e dalla compresenza in campo di testimoni, attanti, osservatori…
Un grumo espanso di funzioni, che ovviamente trova nella mise en abyme operata da Mo Scarpelli in El Father Plays Himself la sua definizione più ampia e completa. Grazie anche alla capacità della regista di scavalcare il campo della rappresentazione per mettersi in gioco con la forza di una neutralità che è ben altra cosa rispetto all’imparzialità dell’osservatore documentario. Il film è una sorta di elettrocardiogramma il cui tracciato rende conto della funzionalità del rapporto tra vita e finzione, quando ad esser messi in gioco siano veramente (e non teoricamente) i due termini della questione: in questo senso l’operazione tentata da Mo Scarpelli col suo lavoro è anche più estrema di quella messa in campo da Jorge Thielen Armand e da suo padre nel loro mettersi in gioco in un film come La Fortaleza. E in buona misura El Father Plays Himself rappresenta il vero compimento di questo percorso: Mo Scarpelli scandaglia i momenti più complessi del processo con vibratile attenzione, compiendo un difficilissimo esercizio di pulizia dello sguardo da qualsiasi tentazione voyeuristica. La vera forza del film è infatti nel suo esserci in scena senza mai abbandonarsi alla tentazione di spiare, nemmeno quando, qua e là, sembra farlo, ma ponendosi (imponendosi, opponendosi, frapponendosi…) sul set come elemento del gioco in atto. Ci sono chiaramente risonanze e funzionalità che provengono dalla lezione herzoghiana, in relazione anche alla difficoltà di gestire una figura eminentemente caratteriale come quella del padre/interprete, che qui come in La Fortaleza ha carature kinskiane amplificate dal set amazzonico. Ma ciò che rende coinvolgente ad un livello pieno questo film di Mo Scarpelli è la sua capacità di azzerare ogni risacca emotiva, contenere nella sua struttura netta, precisa, funzionale le ricadute psicologiche e finanche sentimentali del gioco che sta raccontando. Senza per questo apparire fredda e distaccata, ma mantenendo la lucidità necessaria a vibrare di emozioni tutte sue e non in ricaduta dai suoi personaggi.
EL FATHER PLAYS HIMSELF // official trailer from Mo Scarpelli on Vimeo.
Presentazione di Mo Scarpelli
L’incontro con Mo Scarleppi e Jorhe Thiellen Armand