Marco Boarino e Gipo Gurrado, La stella di cartone: come ritrovare l’amore per il calcio e scoprire un nuovo modo di fare podcast

Un viaggio nel tempo per scoprire l’incredibile impresa del Casale Football Club che nel 1913/14 vince lo scudetto. Un mondo in cui tutto sembra possibile e dove un professore, Raffaele Jaffe, vedendo giocare i suoi alunni in un prato con un pallone di stracci, decide di fondare una squadra di calcio e di sognare in grande. Poi arriverà la Prima Guerra Mondiale a interrompere tutto e a portare i ragazzi al fronte (e la Seconda con la deportazione di Jaffe che morirà ad Auschwitz). Altri tempi, un altro mondo e anche un altro modo di intendere il calcio sono gli ingredienti di La stella di cartone, un podcast realizzato da Gipo Gurrado, compositore musicale e regista teatrale, Marco Boarino, regista e direttore artistico di arti performative, Gianfelice Facchetti, attore, e Giovanni Cerino Badone, docente universitario di Storia. Disponibile sul sito di Repubblica è un podcast in sei puntate di difficile definizione, un’esperienza immersiva nei suoni, nella Storia e nelle storie dei singoli che cattura anche chi il calcio non lo segue. «Forse è più un radiodramma, ma è una parola che fa troppo secolo scorso», ci hanno detto Marco Boarino e Gipo Gurrado (già realizzatori di un altro podcast di successo, Veleno). Li abbiamo intervistati.

 

 

Come vi è venuta l’idea di raccontare la storia del Casale Football Club?

Marco Boarino (MB) In maniera del tutto fortuita, chiacchierando davanti a scuola. il padre di un compagno di mio figlio è Giovanni Cerino Badone, uno storico che ha insegnato strategia militare all’Università di Alessandria, da lui è partita la scintilla. Un giorno, facendo riferimento alle mie origini casalesi mi chiede se fossi al corrente che il Casale aveva vinto uno scudetto. Io non ne sapevo assolutamente nulla. Mi incuriosisce dicendomi che è una storia pazzesca e davanti a un caffè mi racconta della mitica partita contro il Reading, squadra inglese che viene in Italia per un tour e le suona alla nazionale italiana, al Milan, al Genoa. Il Casale li vuole incontrare, fa la colletta (1400 lire era la cifra chiesta dagli inglesi), li invita… È come se oggi una cenerentola di serie B battesse il Barcellona. Partendo da questa partita la storia si è espansa soprattutto al presidente fondatore Raffaele Jaffe.

 

Siete riusciti a coinvolgere grandi nomi del calcio…

MB È stato merito di Gianfelice Facchetti. Suo padre Giacinto è stato un grandissimo giocatore, noto anche a chi non sa nulla di calcio, bandiera dell’Inter, della nazionale, amatissimo da tutti, per cui appena Gianfelice alzava il telefono, chiunque rispondeva. Siamo andati a intervistare Roberto Mancini a Converciano, Milena Bertolini, l’allenatrice della nazionale femminile, Gianluca Vialli, Gianfranco Zola, Gigi Riva, Beppe Bergomi, Billy Costacurta, Javier Zanetti… un monte di registrazioni sul campo e telefoniche. Ci siamo divertiti come dei pazzi.  A Milano abbiamo conosciuto il più grande collezionista di calcio del mondo, siamo andati dal signor Panini (l’attuale amministratore Fabrizio Melegari) che ci ha omaggiato delle figurine del Casale perché nel 1913 non c’erano….

Immagino che anche la città di Casale sia stata molto disponibile.

MB Ci hanno aiutato tutti tantissimo: il sindaco Federico Riboldi, il Comune, la società di calcio, la sinagoga dove c’è la lapide in memoria di Jaffe… Siamo particolarmente contenti perché lo scorso 27 gennaio, giorno della memoria, abbiamo inaugurato e dedicato i giardini pubblici della città a Raffaele Jaffe, un bel modo per ricordare quello che ha fatto, anche trascendendo il calcio.

 

Non seguo il calcio ma la costruzione della vostra storia è appassionante.

Gipo Gurrado (GG) La storia in sé non ci interessava, che il Casale avesse vinto lo scudetto si può scoprire facilmente cercando su Internet. Il lavoro storico di Cerino Badone è stato fondamentale perché ha tracciato le tappe cronologiche degli eventi, poi con Marco abbiamo passato i pomeriggi a decidere la struttura perché non potevamo inventarci i fatti, ma dovevamo capire come riempire gli spazi intorno alla partita contro il Reading. In realtà poi abbiamo deciso di raccontare anche la semifinale e la finale del campionato. Era tutto un pretesto perché non è che sia successo chissà che cosa, questi campionati erano lontani nel tempo e anche abbastanza ridicoli, partitelle in mezzo a campi pieni di fango. Sportivamente non c’era molto, bisognava raccontare tutto quello che c’era intorno che invece era tantissimo.

 

Oltre alla ricerca storica avete fatto anche ricerca sul campo?

GG Sì, molte cose sono venute fuori dalle interviste: l’intervistato di turno raccontava qualcosa e ci dava lo spunto per parlare di qualcos’altro, elementi che poi abbiamo inserito nella ricostruzione storica. È stato veramente un work in progress sapendo che dovevamo raccontare la vittoria dell’ultima partita. Non era importante raccontare chi avesse vinto, ma come e noi ci siamo inventati questo modo un po’ di ricostruzione, un po’ di interviste. Era un territorio inesplorato anche per noi…

MB Quando siamo partiti per fare il podcast ci fermavamo alla partita col Reading e al presidente Jaffe che poi venne deportato. In fase di scrittura le cose si sono stratificate in maniera anche inaspettata. Stilisticamente con Gipo sentivamo il bisogno di avere un filo rosso e ci siamo inventati la radiocronaca della partita che all’epoca non veniva fatta. Gianfelice ha così coinvolto Riccardo Cucchi, celebre radiocronista sportivo, che ci ha prestato la voce, Giovanni ha recuperato gli articoli di giornale del tempo con i quali ha montato la radiocronaca, Gianfelice l’ha scaldata di linguaggio sportivo e terminologico coerente, Cucchi gli ha dato l’emotività necessaria e con Gipo l’abbiamo espansa entrando nelle partite con i microfoni binaurali messi nei campi da calcio… Decisamente è molto più sul come che sul cosa.

 

Anche l’utilizzo di un tempo non lineare è interessante.

GG L’idea di fare un racconto cronologicamente lineare ci annoiava molto, bisognava per forza muovere un po’ le acque. Abbiamo temuto che potesse anche destare confusione perché a un certo punto facciamo dei gran salti temporali. Diciamo che abbiamo cercato di fare la cosa più lineare possibile all’interno della voglia di fare una cosa non lineare. La ricerca di Giovanni da cui siamo partiti è un saggio storico da leggere dall’inizio alla fine, volendo potevamo far leggere quello a Gianfelice, mettevamo due musiche e il podcast era fatto. Il tentativo è stato invece quello di provare a sperimentare, visto che Repubblica ci ha dato questa possibilità, per realizzare un racconto diverso…

MB Già ai tempi di Veleno, ma qui in maniera molto più approfondita, con Gipo ci siamo interrogati sul linguaggio del podcast. Nel momento in cui nel linguaggio video ci si attesta sui 30-60 secondi e una persona dopo 5 secondi ha già deciso se skippare oppure no, figuriamoci con un podcast. Come faccio a tenere l’ascoltatore attaccato senza avere la pagina del romanzo che è quella che ti dà il tempo umano, il respiro? Gli effetti speciali non funzionano, è quasi meglio il meccanismo della fiaba con le sue ripetizioni… Ci siamo interrogati molto su quale fosse il nostro modo di scrivere un podcast perché se sullo stesso soggetto dovessimo fare uno spettacolo a teatro o una docufiction non lo affronteremmo con lo stesso approccio strutturale.

 

 

Non ci sono immagini, ma il lavoro sul suono permette di avere molti appigli sul racconto.

GG Il tentativo era quello di avere una tridimensionalità del racconto, oggi ci sono dei mezzi che ti permettono di registrare nel formato ambisonics che è il formato dei video a 360 gradi per cui interagisci con una sfera audio. Abbiamo registrato La stella di cartone così, ma poi l’abbiamo esportato stereo (cuffia destra e cuffia sinistra) quindi è una sfera stampata che ti porti dietro. Esistono degli algoritmi che riescono a tradurre la distanza, la tridimensionalità e quindi, in un podcast che sfrutta solo l’audio, non poteva che essere una modalità da sperimentare. Lo standard è dettato da Facebook, tutti i video in futuro avranno l’audio a 360 gradi, ascolteremo sempre di più con le cuffie, sono in progettazione cuffie che interagiscono con i video, quindi se muovo la testa quello che sto ascoltando cambia, è interattivo, c’è tutto un mondo dietro e abbiamo voluto cominciare a metterci un piede dentro… Alcune cose sono venute meglio, altre meno, altre – visto che poi va compresso in mp3 – un po’ si perdono… I podcast sono un nuovo linguaggio e quindi bisognava sperimentare e continueremo a farlo, non so cosa ci inventeremo. È un linguaggio molto affascinante che va portato avanti.

 

Il podcast in effetti ha grandi potenzialità. Ne farete altri?

GG Bisogna veramente capire a cosa serve, qual è la domanda, quali sono gli aspetti davvero interessanti. Visto che non ci piace fare le cose semplici, aspettiamo di vedere come si muove il mercato perché è davvero un settore un po’ strano… Tutti adesso fanno podcast sul niente, l’importante è chiacchierare, ancora di più con la clausura forzata. A noi interessa raccontare storie in modo diverso, finché non c’è una storia che ci prende davvero non ha senso, di roba da ascoltare ce n’è anche troppa. Ci sono persone che hanno competenze enormi, penso a Corrado Augias, Piero e Alberto Angela, Umberto Galimberti, ovvio che quello che dicono è molto interessante. Anziché leggerlo lo ascolto e detto da loro ha ancora più appeal… Si punta sulla pigrizia dell’utente medio che non ha nemmeno più voglia di leggere, in questo modo è ancora meno impegnativo. Poi ci sono podcast, penso soprattutto in America, che escono e non sono surrogato di qualcos’altro, è proprio un’altra cosa. A mio parere in Italia adesso siamo nella fase di produrre podcast che sono solamente la sostituzione di un articolo e quindi bisogna ancora capire il linguaggio. Ha un potenziale enorme, ma va approfondito.

MB Sono d’accordissimo, non siamo un macchina da podcast, alla fine ne abbiamo fatti concretamente due in 3/4 anni. Questo sia perché è uno dei linguaggi che vogliamo sperimentare sia perché per il nostro modo di fare podcast c’è bisogno di tanto tempo. Lo affrontiamo come un film, un film che senti ma non vedi. Alla fine per La stella di cartone siamo stati in ballo due anni e mezzo. Comunque un altro paio di idee ce le abbiamo…

 

 

 

Foto di Gianmarco Maraviglia