Fin dall’inizio la protagonista era una donna. Con l’idea di attribuirle caratteristiche che solitamente sono considerate più maschili e un lavoro, il regista, più diffuso fra gli uomini. In realtà sono già diversi film nei quali non sono felicemente protagonista. Sono il fratello ma mi sento molto prossimo a Margherita, al suo senso di inadeguatezza. Il disagio è qualcosa che conosco, frequento. Credevo che con gli anni sarebbe diminuito invece più passa il tempo e più cresce. Non ho acquisito esperienza e sicurezza, i miei dubbi sono quelli di 40 anni fa. La realtà che mi circonda non la capisco, non la so interpretare. Prima di cominciare ho sempre gli stessi incubi, che sul set nulla funzioni, che i problemi siano enormi. In teoria credo che quando giri devi pensare solo al film. Il tema che stai trattando non ti deve investire con la sua forza, bisogna mantenere una distanza. Lo penso ma forse non sono d’accordo…
Uno stacco fra lavoro e vita
La lavorazione del film è durata 71 giorni, Margherita è stata presente sul set 70. Al terzo film insieme (ndr gli altri sono Il caimano e Habemus Papam) diviene un po’ il mio alter ego. Lei è l’interprete ideale per fare convivere sogni, pensieri, immaginazione, realtà, ricordo. Quando il fratello Giovanni dice a Margherita:”rompi uno dei tuoi 200 schemi” è come se lo dicessi a me stesso. Prendersi in giro, accanirsi con se stessi, anche col sorriso sulle labbra. Mi riconosco nella frase di Margherita “stai accanto al personaggio”, è un modo per dire che l’attore non deve avere un’unica dimensione. Volevo che ci fosse uno stacco deciso fra il lavoro e la vita. Che Margherita avesse da una parte il film e dall’altra la mamma, la figlia, le incertezze. Per questo mi serviva un film solido, strutturato, un altro tipo di cinema rispetto al mio, ma l’ideale per riflettere, far emergere la mancaza di solidità della protagonista.
Ripetere i ciak
Da sempre credo che la ripetizione, ciak dopo ciak, aiuti a trovare il tono giusto. Ho difficoltà a teorizzare sul mio lavoro. La semplicità è un punto d’arrivo. Non mi pongo il problema di portarmi dietro delle costanti del mio personaggio film dopo film. Se avviene è il risultato di un processo naturale. Non ho mai avuto ripensamenti sul fatto che l’attore dovesse essere straniero e che anche lui avesse delle difficoltà. La battuta di Turturro “voglio tornare nella realtà” viene dalla vita. L’ha detta Michel Piccoli durante la lavorazione di Habemus Papam, stanco di dovere girare di notte e di non riuscire a recuperare durante il giorno.
Mi imbarazza parlare di mia madre. Durante il montaggio di Habemus Papam è morta e mi ci sono voluti quattro anni per fare il film su un’esperienza vissuta. Trovo che sia naturale che con il passare del tempo si pensi sempre di più alla morte. C’erano generazioni di suoi alunni che continuavano a frequentarla per parlare un po’ di tutto. Questa cosa mi si è rivelata dopo la sua morte e mi è sembrato giusto metterla nel film. Nel rapporto con il cinema i miei genitori non c’entravano nulla. Quando avevo 19 anni si sono limitati a sostenere con discrezione e affetto il mio tentativo di fare film.
(Dichiarazioni raccolte da Massimo Rota)