Ryan O’Neal: ascesa e decadenza di una leggenda di Hollywood

Peyton Place (1964-1969)

Era una leggenda. Charles Patrick Ryan O’Neal era nato il 20 aprile 1941 ed era figlio dello sceneggiatore irlandese Charles O’Neal e dell’attrice Patricia Callaghan O’Neal. Prima di scoprire la sua vocazione di attore, ha fatto il bagnino e il pugile dilettante, esperienza che gli sarebbe stata utile quando gli fu proposto il ruolo di Rocky Balboa, andato poi a Sylvester Stallone. Ryan O’Neal è stato tra le più grandi star del cinema mondiale negli anni ’70, interpretando i ruoli più diversi con molti dei registi più celebri dell’epoca, da Peter Bogdanovich a Stanley Kubrick, sfruttando l’aria da bravo ragazzo per impersonare con estrema precisione personaggi pieni di sfumature e lati oscuri e sinistri. Il primo grande successo gli viene da una serie televisiva, quel Peyton Place andato in onda dal 1964 al 1969, e che conquista la prima serata nei palinsesti statunitensi. Intrighi e passioni di una cittadina di provincia, antesignana delle serie che faranno la storia degli anni Settanta (da Dallas a Dynasty). O’Neil veste i panni di Rodney Harrington, accanto a Mia Farrow nel ruolo della giovane Allison MacKenzie di cui Rodney si innamora. Nel 1970 il film drammatico Love Story gli vale una nomination all’Oscar come miglior attore e la consacrazione a Hollywood tra gli attori più ricercati dalle Major. Love Story è il film di maggior incasso dell’anno, destinato a diventare uno dei più grandi successi della Paramount Pictures con le sue sette nomination agli Oscar. O’Neil ha 29 anni una carriera lanciata e una vita privata già molto movimentata.

 

Love Story (1970) di Arthur Hiller

 

Nel ’72 Peter Bogdanovich gli offre il ruolo dell’imbranato musicologo Howard Bannister che, accanto ad una travolgente Barbra Streisand, cerca di destreggiarsi un una carambola di avventure nella commedia Ma papà di manda sola? omaggio alla screwball comedy e a Susanna di Howard Hawks. Il successo si rinnova l’anno seguente, sempre grazie a Bogdanovich che lo scrittura in Paper Moon accanto alla figlia Tatum O’Neil. La bambina vinse l’Oscar come migliore attrice non protagonista diventando la più giovane vincitrice nella storia della manifestazione, mentre il padre continua a scalare le vette della notorietà dimostrando di essere più che mai versatile ed efficace in tutti i ruoli. Al punto che la Paramount lo propone per quello di Michael Corleone ne Il Padrino, prima che Al Pacino ottenesse la parte su insistenza del regista Francis Ford Coppola. Il film successivo è Barry Lyndon di Stanley Kubrick (1975), adattamento del romanzo di William Makepeace Thackeray su un povero ragazzo irlandese del XVIII secolo che si reinventa come aristocratico destinato, tuttavia, a finire in estrema povertà. Un film che O’Neil definì estenuante per i 350 giorni di riprese durante i quali il rapporto con Kubrick andò deteriorandosi. Gli anni Settanta segnano anche l’inizio del declino con film incapaci degli incassi dei precedenti (nonostante il loro valore). Vecchia America, ancora di Bogdanovich (1976), Quell’ultimo ponte di Richard Attenborough (1977), Driver l’imprendibile di Walter Hill (1978), I duri non ballano di Norman Mailer (1987), Knight of Cups di Terence Malick (2005), per fare solo degli esempi. Torna anche in tv comparendo in alcune serie, tra cui Sacrificio d’amore, Desperate Housewives, Bones.

 

Paper Moon (1973) di Peter Bogdanovich