Grande successo di critica e di pubblico per Geppetto e Geppetto, il nuovo spettacolo di Tindaro Granata incentrato sul percorso di una coppia – Luca (lo stesso Granata) e Toni (Paolo Li Volsi) – che decidono di ricorrere alla maternità surrogata per avere un figlio (Matteo, interpretato da bambino e da grande da Angelo Di Genio, premiato dall’associazione dei critici italiani come miglior attore emergente). Decisione che fa discutere le persone a loro vicine e che pone agli spettatori più di una domanda, senza avere la presunzione di dare delle risposte. Il testo – con cui Granata ha vinto il Premio UBU 2016 per la migliore novità italiana o ricerca drammaturgica, il Premio HYSTRIO Twister 2017 come “Miglior Spettacolo dell’anno” e il Premio “Franco Enriquez” come “Miglior spettacolo dell’anno per l’impegno civile” – è il primo attualmente esistente a parlare dei genitori omosessuali dal punto di vista del figlio perché gli altri pochi testi che affrontano l’argomento, ne parlano dal punto di vista delle coppie. Abbiamo incontrato Tindaro Granata.
Prima ancora che del desiderio di essere genitori nelle coppie omosessuali, Geppetto e Geppetto parla dei figli e del loro rapporto con i genitori.
Con questo spettacolo chiudo la “trilogia della famiglia” dopo Antropolaroid e Invidiatemi come io vi ho invidiato. Con Geppetto e Geppetto volevo parlare di che cosa significa essere genitori ed essere figli. Dovendo analizzare che cosa significa veramente voler essere genitori, a tutti i costi, oggi ho pensato fosse necessario prendere come esempio una famiglia arcobaleno perché in una coppia eterosessuale se i genitori non hanno problemi, è molto naturale che a un certo punto diventino genitori, mentre se due uomini o due donne stanno insieme non può capitare, deve essere voluto. E questo essere voluto è molto difficile, ci vuole tempo, è una genitorialità scelta, decisa, voluta. Quindi ho preso come pretesto la storia di Luca e Toni, una coppia omosessuale ipotetica che decide di fare questo grande passo.
Tu affronti la questione dal punto di vista del figlio, non dei genitori.
Il testo ha due particolarità: la prima è che la storia è un pretesto per parlare della famiglia, non solo delle coppie omosessuali, e la seconda è proprio che affronta la genitorialità omosessuale dal punto di vista del figlio. Tutta la prima parte comprende la felicità, le cose belle, ma anche quelle dure della famiglia tradizionale, nella seconda parte Matteo diventa adulto, il padre biologico muore e quindi Matteo rimane con il padre putativo, il compagno del padre, con il quale non ha nessun legame biologico. C’è un grande scontro generazionale tra i due legato alla richiesta di affetto e di ruoli. Il figlio vuole sapere perché è stato concepito, pensa sia dovuto all’egoismo di Luca e Toni. È lo scontro, molto toccante e molto particolare, che ci può essere tra qualsiasi padre e qualsiasi figlio, laddove ci sono due figure che hanno bisogno l’una dell’altra.
Geppetto fa riferimento alla favola, ma anche all’idea di costruirsi un figlio su misura…
Proprio così. Mi sono detto che queste famiglie nuove, in realtà tanto nuove non sono perché le favole ci hanno messo nella nostra memoria che c’è un signore che si chiama Geppetto che era da solo e si è costruito un figlio perché si sentiva da solo. Chissà se questi nuovi genitori si costruiscono questi figli perché si sentono soli?
Per costruire lo spettacolo hai intervistato le persone per strada…
Sì, per scriverlo mi sono finto giornalista, perché ho pensato che se avessi detto che ero un attore, magari avrebbero pensato fosse una stupidaggine. Invece ho detto che dovevo fare un pezzo sui figli delle famiglie omosessuali e chiedevo alle persone che cosa ne pensassero. Da tutti questi grandi dubbi, da tutte queste risposte e domande che mi sono state fatte, dopo aver intervistato circa una sessantina di persone, ho messo tutto quello che mi è stato detto nello spettacolo, in due personaggi: quello della madre di uno dei due e dell’amica di uno dei due, che sono entrambe contrarie a questa nuova famiglia.
Qual è la reazione del pubblico?
Molto forte, il pubblico si sente chiamato in causa perché è un tema che appassiona tutti. E poi io dico sempre che non tutti diventeremo genitori, però tutti siamo figli, quindi è un tema che tocca tutti. Gli spettatori sono scossi, ricevo lunghe mail e messaggi su Facebook. C’è una partecipazione popolare che non mi era capitata neanche con Antropolaroid, che pure è uno spettacolo che entra in forte empatia col pubblico. Qui è davvero pazzesco, c’è grande commozione e partecipazione, non sfugge una virgola. Mi piace pensare che è uno spettacolo partecipato e di partecipazione, il pubblico è dentro con noi. Secondo me, molti vengono con l’idea di vedere qualche cosa che è un argomento molto delicato, per cui con la curiosità perché non stai andando a vedere Romeo e Giulietta, sapendo cosa succederà. Vogliono capire qual è il punto di vista, che cosa dicono, cosa si pensa, cosa non si pensa. Poi, io ho cercato in tutti i modi di non schierarmi da nessuna parte, lo spettacolo vuole porre soltanto una discussione reale, sincera, concreta sul tema di questa nuova paternità e maternità. Non è tanto una questione di carattere religioso per cui non si può fare perché il cattolicesimo ce lo vieta, semplicemente è più un problema etico perché c’è da chiedersi se sia veramente giusto accanirsi per diventare genitori oppure no, se è giusto che una donna presti il proprio utero…
Foto di Andrea Macchia
Milano Teatro Elfo Puccini 11-17 dicembre