Sguardi Altrove 31- Due giorni di fuoco: Te l’avevo detto di Ginevra Elkann

Il secondo film da regista di Ginevra Elkann (scritto insieme a Chiara Barzini e Ilaria Bernardini) è un film corale e claustrofobico, irritante e coraggioso, che si concentra su una serie di rapporti disfunzionali e morbosi tra madri e figli imprigionati in un passato/presente melmoso. Scritto durante il lockdown del 2020, che ha notevolmente segnato la percezione della vita, del mondo e del futuro. In una Roma invernale abbattuta dal caldo, c’è Gianna (Valeria Bruni Tedeschi) che cerca di sopravvivere al suo chiodo fisso, la pornostar Pupa (Valeria Golino), che anni addietro le ha portato via il marito e quindi la felicità. Per questo ora cerca ogni occasione buona per invadere il suo mondo e screditarla, tanto da esserci meritata un ordine restrittivo. Sua figlia Mila (Sofia Panizzi) alterna attacchi di bulimia e di ansia per le folle imprese materne, mentre accudisce un’anziana nobildonna nella sua lussuosa casa. Ci sono padre Bill e (Danny Huston) sua sorella Frances (Greta Scacchi), giunta in Italia dagli Stati Uniti per esaudire il desiderio della madre morta e spargere le sue ceneri nel cimitero acattolico cittadino.

 

 

E poi c’è Caterina (Alba Rohrwacher), giovane madre alcolizzata, che frequenta gli incontri di padre Bill per uscire dalla dipendenza e poter tornare a far visita al figlio, che di fatto rapisce nel giorno del suo compleanno per portarlo in un rifugio per animali a riprendersi l’adorato cane paraplegico. Percorsi che si intersecano, perché la parrocchia diventa per un momento luogo di incrocio, un passaggio di consegne tra ossessioni, follie, insicurezze di tutte, mentre l’aria si fa inspiegabilmente bollente e pastosa, tingendosi come fosse una nebbia arancione che isola tutti i personaggi, inchiodandoli nella solitudine in cui sono precipitati e nella piattezza dell’assenza di colori. Storie dolorose alle quali, però, Elkann concede attimi di brillante ironia, grazie ad attrici capaci di rubare la scena e sostenere ruoli di donne traboccanti peccati e tenerezza. Due giorni che riassumono le loro esistenze, ma in cui si delineano possibili cambiamenti di rotta impossibili da decifrare fino in fondo. Quelle di Elkann sono ipotesi di storie vissute da maschere che portano sulle spalle istanze precise. La solitudine, si diceva, ma anche l’individualismo dei nostri tempi, la frattura con le nuove generazioni, l’incapacità di vedere oltre i propri piccoli problemi, mentre il mondo lancia segni inequivocabili di sofferenza. Interrogativi che vagano in situazioni sovraccariche di cliché, eccessi ridondanti, sovrastrutture che affollano il deserto umano di un film che semplifica anziché approfondire, crea fantasmi invece di storie e lascia che sia uno stratagemma a creare i troppi (o troppo pochi) livelli significanti.