Equilibrio e contraddizione: Il male non esiste di Ryusuke Hamaguchi

Il mondo non esiste nel cinema di Ryusuke Hamaguchi, o meglio esiste al di là dello spazio spirituale in cui i suoi personaggi si muovono. La sensazione di essere capitati in un a parte, dove vige una dimensione differente delle azioni e delle relazioni, è una costante dei suoi film. Che si offrono sempre con una quieta tensione interiore: qualcosa che smargina improvviso nella realtà degli eventi, ma tendenzialmente cova sotto una coltre di serenità e atarassia, che ottunde nel bene e nel male la verità delle relazioni. Il paradigma funziona a perfezione in Evil Does Not Exist (Aku wa sonzai shinai), col quale Hamagichu ha vinto il Leone d’Argento Gran Premio della Giuria a Venezia80: qui è proprio lo spostamento progressivo del rapporto simbiotico tra ambiente e individuo a disegnare la linea narrativa e a configurare la tensione morale su cui puntualmente si basa il dramma in atto. Il male che campeggia nel titolo letteralmente non esiste nella scena in cui si muovono i protagonisti: non troppo distanti da Tokyo, gli abitanti di una piccola comunità trascorrono infatti una vita tranquilla, in armonia con la natura. Il setting che Hamaguchi offre ai suoi personaggi è ancora una volta basato su una dimensione armonica, che trova nella propria norma l’eccezione in grado di infrangerne la presunta perfezione. È così proprio la dimensione naturale a determinare la frattura nella comunità: la serenità degli abitanti, che si basa su un sistema connesso di relazioni personali, sostegno reciproco e immediata osmosi con la natura, viene minacciata dal progetto di costruzione di un “glamping”, una sorta di camping per ricchi turisti di città in cerca di una vacanza rilassante a contatto con la natura.

 

 

Al protagonista, il silenzioso Takumi, figura al contempo ombrosa e limpida, un po’ tuttofare e un po’ spirito guida della comunità, appare subito evidente che i responsabili dell’impresa non comprendono il reale impatto ambientale della loro iniziativa. Insieme agli altri abitanti, l’uomo cerca di opporre ai rappresentanti del progetto una serie di questioni vitali per la sopravvivenza della comunità e per la salvaguardia dell’ambiente. Ma più Takumi illustra loro la sostanza della relazione uomo-natura su cui si basa l’equilibrio di quel posto, più l’intrusione e l’ingenua prevaricazione della gente di città sortisce i suoi effetti malefici sulla comunità, spingendo la vicenda verso l’inatteso epilogo. Che, come sempre in Ryusuke Hamagichi, lascia esplodere senza mezzi termini l’indifferenza della dimensione morale dell’esistere rispetto al destino dei viventi, condannati a subire il peso delle proprie azioni nonostante cerchino in tutti i modi di preservare la propria limpidezza. Al pari di Drive My Car e dei precedenti Asako 1 & 2, Happy Hours e Il gioco del destino e della fantasia, anche Evil Does Not Exist si afferma come una straordinaria riflessione sul rapporto incongruo che i personaggi instaurano loro malgrado tra le istanze sincere delle loro azioni e le conseguenze imposte dalla realtà. Basato su un rapporto simbiotico con la musica della compositrice Eiko Ishibashi, il film segue una struttura sinfonica, con un’ouverture e un andamento in movimenti che guidano lo spettatore nella relazione con i personaggi e la loro storia.