Il male e il suo riflesso: Halloween Kills, di David Gordon Green

Nella triangolazione fra Michael, Laurie e le eventuali figure vicarie di quella paterna (il dr. Loomis di Donald Pleasence o i vari sceriffi del caso), un elemento era sempre rimasto sfumato nella saga di Halloween: la comunità di Haddonfield, vittima inerme e eterno sfondo delle incursioni del maniaco negli oltre quarant’anni di attività della saga. Per il secondo capitolo della trilogia realizzata da David Gordon Green – iniziata da Halloween nel 2018 e destinata a chiudersi l’anno prossimo con Halloween Ends – sembra si sia voluti ripartire proprio da qui. Dalle ferite sepolte da una maledizione che ha covato per decenni, logorando il tessuto di una comunità che ha faticato a ritrovarsi o che forse, proprio per aver prodotto un simile assassino, deve una volta per tutte riconoscersi nel suo male interiore. Presentato in anteprima alla Mostra di Venezia in occasione del Leone d’oro alla carriera a Jamie Lee Curtis, Halloween Kills assume dunque la caratura di una perfetta dichiarazione d’intenti: di come l’educazione al male enunciata dal primo film e iscritta nel gioco di pedinamenti fra Michael e Laurie abbia infettato un mondo che nel frattempo si è diviso, incarognito dalla paura, refrattario alle regole di coscienza civica e pronto a innescare un’inevitabile reazione a catena.

 

 

Una bolla pronta a esplodere e che lo farà quando le figure che finora avevano arrogato su di sé il compito di tenere a bada le pulsioni nascoste vengono meno. Eliminate dall’equazione tanto le autorità (vittime delle coltellate del killer) quanto la stessa Laurie, costretta per quasi tutto il film in ospedale, giunge così il momento per la comunità di guardarsi nel proprio riflesso. La storia inizia perciò esattamente dove finiva il capitolo precedente, con Michael vittima della trappola incendiaria di Laurie, da cui riesce però a fuggire: la notizia della sua evasione foraggia un impeto giustizialista incarnato da Tommy Doyle (l’ex bambino cui la protagonista faceva da babysitter nel primissimo film di John Carpenter) che si pone a capo di un comitato di salute pubblica per fermare il Male, mentre la trama passa continuamente dal passato al presente per tenere insieme i fili di un disegno chiaramente ambizioso e riepilogativo rispetto alla saga tutta. In questo senso, Halloween Kills è, più del film precedente, un racconto corale che cerca di fare il punto sui vari percorsi battuti dai dodici capitoli sin qui prodotti: laddove Halloween 2018 azzerava la continuity, ripartendo dal primo film, qui si richiama idealmente in causa la stessa, recuperandone umori e citandone le iconografie, come a ribadire che il progetto è pienamente parte di un universo di cui si conoscono bene le coordinate. Pertanto, alla Laurie in ospedale di Halloween II – Il Signore della Morte e al Tommy che vuole contrastare Michael in una forma più radicale di quanto non facesse in Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers, si affiancano le maschere della Silver Shamrock del pur negletto Halloween III – Il Signore della notte, mentre la furia assassina di Michael è fra le più feroci di sempre e sembra guardare al dittico di Rob Zombie (anche nell’uso della macchina a mano durante le scene di lotta con le sue vittime). Molti sono pure i ritorni, da quelli inaspettati a quelli più evidenti, spesso richiamando anche gli attori storici (il Bracket di Charles Cyphers ad esempio), a volte con qualche recasting – Tommy non è più Brian Andrews come nell’originale e nemmeno Paul Rudd come nel sesto film, ma la new entry Anthony Michael Hall.

 

 

Il conforto del noto è comunque propedeutico alla realizzazione di un’opera ancora una volta fluttuante che, mentre omaggia una narrazione che si era frammentata tra diverse linee narrative, trasporta al contempo la storia nel nostro tempo, avvicinandola a certe istanze tipiche delle produzioni Blumhouse. Così, se è possibile leggere nella comunità divisa e violenta un chiaro rimando ai toni esarcerbati e agli slogan risoluti dell’America trumpiana – “Evil Dies Tonight” come “Make America Great Again” – la visione corale su una comunità che cerca sfogo rispetto a a una violenza che lei stessa ha generato, rende la ricorrenza di Halloween una possibile nuova Notte del giudizio in cui gli schemi civili saltano e l’horror recupera una sua forte valenza politica, che salda prepotentemente questo sequel al finale stesso dell’originale carpenteriano – quello che stabiliva la compenetrazione tra Michael e Haddonfield ripercorrendo i luoghi della storia. Una sorta di dicotomia fra l’esteriorità delle intenzioni e la violenza interiore che si articola attorno agli smascheramenti sempre temporanei di Michael e che rende l’intero corpo di Haddonfield affine alle figure divise di Split o Get Out. All’interno di una narrazione più frammentata nella prima parte e che si abbandona a un tono più operistico nel finale, ben sorretto dall’incalzante colonna sonora composta dallo stesso Carpenter insieme al fedele figlio Cody e al figlioccio Daniel Davies, la figura di Michael Myers resta così un perfetto catalizzatore di angosce a cavallo dei decenni. Ma anche l’unico personaggio fedele a sé stesso, il figlio perduto e al contempo la vera figura paterna di una cittadina americana regredita a un istinto infantile e priva di punti di riferimento. Una realtà che non può ritrovarsi altro che in un circolo di sangue ormai condiviso. Si intitola Halloween Kills, ma poteva tranquillamente essere “Haddonfield Kills”, insomma.