In prima persona: L’età dell’innocenza di Enrico Maisto

Cosa significa diventare adulti? Quando si smette di dipendere dai propri genitori e si diventa un nuovo nucleo familiare? In un mondo in cui sono spariti i riti sociali che hanno scandito le vite dei nostri padri (e delle nostre madri) quando si taglia il cordone ombelicale che ci lega alle nostre famiglie d’origine? L’età dell’innocenza, opera terza del documentarista milanese Enrico Maisto, si configura come una terapia individuale e collettiva che va a scavare nelle contraddizioni che marcano la vita di ciascuno di noi: la separazione dai propri genitori, la possibilità di costruire una relazione duratura, il confronto con l’(in)stabilità dei propri coetanei, la necessità di conciliare la realtà con le proprie aspirazioni. Costruito a partire da immagini filmate nel corso di un’intera vita (i primi cortometraggi girati da Maisto sono degli anni delle scuole elementari) e dal continuo inseguire i propri genitori (ma anche i propri amici, i conoscenti, le compagne) con la camera a mano, L’età dell’innocenza si prende il compito, a volte sofferto a volte impudico, di scavare nei piccoli drammi, nell’evidenziare le tenerezze e le cattiverie che contraddistinguono il rapporto con la propria madre (e di riflesso con il padre). In L’ira di Narciso lo scrittore franco-uruguagio Sergio Blanco – probabilmente il più radicale autore di teatro in lingua spagnola – narratore, personaggio protagonista, attraverso il suo spettacolo, compie un complesso suicidio rituale. Si espone nelle sue perversioni, nelle sue meschinità, nelle piccole nevrosi, fino a morire, fino a farsi assassinare. In maniera affine in L’età dell’innocenza, Enrico Maisto si sovraespone fino al punto di sparire, si mostra in ogni vulnerabilità e in ogni tic, in ogni paura, fino a diventare un tutt’uno con i propri spettatori. Il documentario si trasforma così in una lettera d’addio: a un’epoca, a una visione del mondo, a un’età fatta di idealismi, contrapposizioni, nevrosi e assoluti.

 

 

 

 

Evitando i più facili riferimenti generazionali (tanto cari alla recente produzione italiana da Zero Calcare alle numerose serialità netflixiane ) Maisto cerca di costruire una relazione con lo spettatore a partire dalle istanze più profonde: la malattia della madre, la paura di crescere, il confronto continuo con i coetanei. Lo fa, forse a scapito delle relazioni stesse: «Spegni la camera», gli intima più di una volta la madre. Ma è proprio in questo coraggioso lavoro con i suoi personaggi che il film si distanzia dalle auto-narrazioni romanzesche, ormai paradigma dominante della letteratura contemporanea. I più influenti scrittori europei contemporanei – Walter Siti, Annie Ernaux, Emmanuel Carrère, Karl Ove Knausgård – sono tutti autori di autofiction che hanno riflettuto, in maniere dissimili, sulle proprie famiglie, i propri matrimoni, i propri feticismi. Ma nel cinema documentario il confronto con le persone non è mediato dalla pagina, ma solo separato da un obiettivo. La madre o il padre non sono figure della memoria su pagina scritta, ma sono esseri in carne e ossa che vivono di fronte allo sguardo del regista, che reagiscono, si ribellano, mettono in questione. Ed è in questa dimensione intima, contraddittoria e anarchica che il film permette allo spettatore di identificarsi totalmente con lo sguardo del regista. L’età dell’innocenza, in questo gioco alla soggettiva, diventa così un film che include tutti i generi: la commedia, il dramma, il coming-of-age, il film di supereroi (non abbiamo giocato tutti a essere Batman?), perché la vita non ha separazioni. In questo piccolo mosaico generazionale – in cui si ride, si sorride, ci si commuove, ci si arrabbia, si prova imbarazzo – i filmati girati dall’infanzia all’età adulta diventano un bilancio sullo stare al mondo, sulle tracce di sofferenza e gioia che si lasciano necessariamente nel proprio cammino di crescita e nei propri genitori; in questo gioco di specchi, in maniera a volte un po’ sfuocata, il cinema diventa così un riflesso imperfetto e allo stesso tempo limpido della vita stessa.